giovedì 31 marzo 2022

Messaggio del 26.03.2022 da Simona

Ho visto Mamma aveva un manto azzurro sulle spalle e un velo bianco sul capo con la corona di dodici stelle, il vestito era bianco, i piedi erano scalzi e poggiavano sul mondo nel quale si susseguivano scene di violenza e distruzione. Poi Mamma lo ha coperto con il suo manto e tutte le scene sono cessate. Mamma aveva le mani giunte in preghiera e tra di esse una corona del santo rosario molto luminosa, dalla corona tra le mani di Mamma sono scaturiti molti raggi che hanno inondato il bosco e alcuni si sono posati su alcuni pellegrini.


Sia lodato Gesù Cristo 


Figli miei vi amo e vi ringrazio che siete accorsi a questa mia chiamata, io giungo ancora una volta in mezzo a voi per l’immensa misericordia del Padre. Figli miei ancora una volta vi chiedo preghiera, preghiera per la mia amata chiesa, che i pilastri delle sua fondamenta non abbiano a tremare e non venga sconvolto il vero magistero della chiesa, figlia prega con me.


Ho pregato a lungo con Mamma  per la Santa Chiesa, per il Santo Padre e per tutti coloro che si sono affidati alle mie preghiere, poi Mamma ha ripreso.


Figli miei tanto amati, sostate dinnanzi al Santissimo Sacramento dell’Altare, pregate e fate pregare, insegate a pregare ai bambini futuro del mondo, amate e non odiate, giustificate e non criticate, figli miei il giudizio è solo di Dio, Egli è giudice, Padre buono e giusto e a ciascuno darà ciò che merita, non sta a voi giudicare.

Figli miei vi amo.

Adesso vi do la mia santa benedizione.

Grazie per essere accorsi a me.

Messaggio del 26.03.2022 da Angela

Questo pomeriggio la Mamma si è presentata tutta vestita di bianco. Era avvolta in un grande manto bianco, sottile, che le copriva anche il capo. Sul capo una corona di dodici stelle. 
Mamma aveva le mani giunte in preghiera, tra le mani una lunga corona del santo rosario, bianca come di luce che le arrivava quasi fin giù ai piedi. Sul petto Mamma aveva un cuore di carne coronato di spine. Sotto i piedi Mamma aveva il mondo. Su di esso si vedevano scene di guerra sparse per il mondo.
Mamma aveva un volto triste e il suo volto era rigato dalle lacrime. Mamma pian piano ha fatto scivolare un lembo del suo manto per coprire il mondo. 

Sia lodato Gesù Cristo 

Cari figli, grazie per essere qui per accogliermi e per rispondere a questa mia chiamata. Vi amo figli, vi amo immensamente e se sono qui è per l'immenso amore che ho per ciascuno di voi. 
Figli miei, anche quest'oggi vi invito tutti a pregare per la pace. Pace figli, pace non solo per questo mondo sempre più attanagliato dalle forze del male, ma per voi figli.
Pace nei vostri cuori, pace nelle vostre famiglie, siate operatori di pace.
Come potete chiedere la pace, se i vostri cuori non sono in pace? Pregate.
Figli miei, il mio cuore è straziato dal dolore nel vedere tanti miei figli che perdono la vita a causa della guerra. 
Figli amatissimi, vi prego di ascoltarmi e di decidervi per Dio.
Questo è un tempo di grazia. La quaresima sia per voi un motivo in più per pregare, per essere umili. Digiunate e tornate a Dio, voi che avete smarrito la retta via. 
Guardate Gesù, è lui l'unica vera salvezza. Piegate le vostre ginocchia e pregate. Gesù è vivo e vero nel Santissimo Sacramento dell'Altare, è lì che lo trovate vivo e vero. 

Poi la Mamma mi ha chiesto di pregare con lei, mentre pregavamo insieme mi faceva vedere varie visioni. Dopo aver pregato le ho raccomandato tutti quelli che si erano affidati alle mie preghiere e infine ha benedetto tutti.
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen

Giovedì della IVª settimana di Quaresima - commento al Vangelo

Gv 5,31-47


In quel tempo, Gesù disse ai Giudei:
«Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. C'è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera.
Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.
Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.
E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato.
Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita.
Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco: non avete in voi l'amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall'unico Dio?
Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».


Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa

 «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14), nessuno lasciando privo della misericordia, ad eccezione di chi rifiuta di credere. E come potrà rimanere fuori della comunione con Cristo chi accoglie colui che ha preso la sua stessa natura e viene rigenerato dal medesimo Spirito, per opera del quale Cristo è nato? Chi non lo riterrebbe della nostra condizione umana sapendo che nella sua vita c’era posto per l’uso del cibo, per il riposo, il sonno, le ansie, la tristezza, la compassione e le lacrime?
   Proprio perché questa nostra natura doveva essere risanata dalle antiche ferite e purificata dalla feccia del peccato, l’Unigenito Figlio di Dio si fece anche Figlio dell’uomo e riunì in sé autentica natura umana e pienezza di divinità.
   È cosa nostra ciò che giacque esanime nel sepolcro, che è risorto il terzo giorno, che è salito al di sopra di tutte le altezze alla destra della maestà del Padre. Ne segue che se camminiamo sulla via dei suoi comandamenti e non ci vergogniamo di confessare quello che nell’umiltà della carne egli ha operato per la nostra salvezza, anche noi saremo partecipi della sua gloria. Si adempirà allora sicuramente ciò che egli ha annunziato: «Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio, che è nei cieli» (Mt 10, 32).

mercoledì 30 marzo 2022

Mercoledì della IVª settimana di Quaresima - commento al Vangelo

Gv 5,17-30

 
In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.
Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati.
Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.
In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l'ora - ed è questa - in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l'avranno ascoltata, vivranno.
Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell'uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna.
Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.


Gesù agisce in comunione perfetta con il Padre, compie la sua volontà, giudica con giustizia e dona la vita. I Giudei si fermano invece all’apparenza e condannano senza comprendere. Essi vedono una parte, solo quella umana, e poiché non hanno familiarità con la vita spirituale, giudicano male. Dobbiamo prendere esempio da Gesù e cercare la volontà del Padre, attraverso un serio e attento discernimento che abbia i necessari tempi di silenzio e preghiera. Dobbiamo sforzarci di comprendere le sue azioni e di imitarlo, ascoltando la sua voce. 

“Insegnandoci la giustizia e la bontà di Dio, ci comanda: Siate santi, siate perfetti, siate misericordiosi come il Padre vostro celeste (cfr. Lc 6, 36).” (San Massimo confessore).

martedì 29 marzo 2022

Martedì della IVª settimana di Quaresima - commento al Vangelo

Gv 5,1-16
 
Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all'istante quell'uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all'uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: "Prendi la tua barella e cammina"». Gli domandarono allora: «Chi è l'uomo che ti ha detto: "Prendi e cammina?"». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell'uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.

C’è un uomo bisognoso di aiuto, che non ha chi lo soccorra, in mezzo a tanti altri che hanno bisogno di guarigione. Gesù parla con lui e lo guarisce, senza badare ad altri o ai giudizi della gente. 
I Giudei invece, vedono solo ciò che vogliono vedere, non il bene operato da Gesù e nemmeno il bisogno di guarigione di quell’uomo, che fino ad allora era stato prigioniero del proprio stato. Essi non conoscono la carità verso gli ultimi, ma si fermano al legalismo più estremo.
Lasciamoci esortare dalle parole di San Leone Magno: “ Carissimi, è vero che per esercitare il bene della carità ogni tempo è appropriato. Questi giorni tuttavia lo sono in modo speciale. Quanti desiderano di arrivare alla Pasqua del Signore con la santità dell’anima e del corpo si sforzino al massimo di acquistare quella virtù nella quale sono incluse tutte le altre in sommo grado, e dalla quale è coperta la moltitudine dei peccati. Dobbiamo prepararci a celebrare il mistero più alto di tutti, il mistero del sangue di Gesù Cristo che ha cancellato le nostre iniquità, facciamolo con i sacrifici della misericordia…
  Al Signore infatti nessun’altra devozione dei fedeli piace più di quella rivolta ai suoi poveri, e dove trova una misericordia premurosa là riconosce il segno della sua bontà.”

lunedì 28 marzo 2022

Lunedì della IVª settimana di Quaresima - commento al Vangelo

Gv 4,43-54
 
In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch'essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire.
Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va', tuo figlio vive». Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.
Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un'ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell'ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

C’è un agire puntuale da parte di Dio, non per dimostrare qualcosa a qualcuno, ma perché Egli ha a cuore il destino dell’uomo e non lascia inascoltate le suppliche fatte con fede. Così, appena Gesù parla, il figlio del funzionario guarisce. La Sua parola di guarigione ha un effetto immediato, non ha bisogno né di tempo per diventare efficace e nemmeno di percorrere le distanze tra un luogo e l’altro. Questo ricorda i gesti della creazione, nella quale Dio parla e ogni cosa immediatamente viene all’esistenza.
In questi casi di guarigione, un eventuale dubbio non è razionale ma durezza di cuore, non dipende da ragionamenti logici ma da una mancanza di fede nel Dio dell’impossibile. Il funzionario ha fede, mette la propria razionalità a servizio degli eventi per comprenderli meglio, e cosi giunge alla conversione. Questo è un passaggio necessario per ognuno di noi: ragionare sugli eventi di Dio nella nostra vita, affinché possiamo comprendere meglio i Suoi insegnamenti. 
Cosa ci ostacola ancora in questo cammino?

domenica 27 marzo 2022

IVª DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C - commento al Vangelo

Lc 15,1-3.11-32

 

In quel tempo, si avvicinavano Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».


Il figlio che si allontana dal Padre è un uomo in cammino, un peccatore che non riconosce subito l’amore di Dio, ma ha bisogno di tempo per compiere il suo percorso e rendersi conto che nessun amore terreno può eguagliare quello del Padre misericordioso. 

L’altro figlio invece rappresenta bene i farisei che si ritengono giusti e non sono capaci di gioire con il Padre, perché hanno smarrito la propria identità di figli. 

Entrambi devono mettersi in cammino, riconoscersi peccatori e chiedere il perdono del Padre, cercando la riconciliazione con Lui.

Per far comprendere che questo itinerario non è impossibile, dice Sant’Agostino:

“Tu cerchi la via? Ascolta il Signore che ti dice in primo luogo: Io sono la via. Prima di dirti dove devi andare, ha premesso per dove devi passare: «Io sono», disse, «la via»! La via per arrivare dove? Alla verità e alla vita. Prima ti indica la via da prendere, poi il termine dove vuoi arrivare. «Io sono la via, Io sono la verità, Io sono la vita». Rimanendo presso il Padre, era verità e vita; rivestendosi della nostra carne, è diventato la via.

   Non ti vien detto: devi affaticarti a cercare la via per arrivare alla verità e alla vita; non ti vien detto questo. Pigro, alzati! La via stessa è venuta a te e ti ha svegliato dal sonno, se pure ti ha svegliato. Alzati e cammina!

   Forse tu cerchi di camminare, ma non puoi perché ti dolgono i piedi. Per qual motivo ti dolgono? Perché hanno dovuto percorrere i duri sentieri imposti dai tuoi tirannici egoismi? Ma il Verbo di Dio ha guarito anche gli zoppi.

   Tu replichi: Sì, ho i piedi sani, ma non vedo la strada. Ebbene, sappi che egli ha illuminato perfino i ciechi.”

sabato 26 marzo 2022

Sabato della IIIª settimana di Quaresima - commento al Vangelo

Lc 18,9-14
 
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo".
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore".
Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

L’umiltà rende vera la preghiera, mentre l’esaltazione di sé la rende fasulla, un esercizio di pura apparenza.
Il fariseo ritiene di essere giusto e inoltre non sta lodando Dio o implorando aiuto per se stesso o per altri, ma sta davanti a Lui solo per criticare chi ritiene che gli sia inferiore. Egli non è mosso dalla carità verso il prossimo o dall’amore per Dio. Il suo atteggiamento è specchio di una critica costante anche nella vita di tutti i giorni, in cui sicuramente non c’è la volontà di giustificare qualcuno, ma anzi di essere pronto a notare solo gli errori del prossimo.
Il pubblicàno invece chiede pietà, sa di essere un peccatore, non fa il paragone con qualcuno, ma si sente indegno davanti a Dio e bisognoso di misericordia.
Com’è la mia preghiera quotidiana? Sono capace di giustificare e di percepire gli altri come fratelli da amare?

venerdì 25 marzo 2022

ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE – Solennità

Lc 1,26-38

In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.


Dalle «Lettere» di san Leone Magno, papa

   Dalla Maestà divina fu assunta l’umiltà della nostra natura, dalla forza la debolezza, da colui che è eterno, la nostra mortalità; e per pagare il debito che gravava sulla nostra condizione, la natura impassibile fu unita alla nostra natura passibile. Tutto questo avvenne perché, come era conveniente per la nostra salvezza, il solo e unico mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, immune dalla morte per un verso, fosse, per l’altro, ad essa soggetto.
   Vera, integra e perfetta fu la natura nella quale è nato Dio, ma nel medesimo tempo vera e perfetta la natura divina nella quale rimane immutabilmente. In lui c’è tutto della sua divinità e tutto della nostra umanità.
   Per nostra natura intendiamo quella creata da Dio al principio e assunta, per essere redenta, dal Verbo. Nessuna traccia invece vi fu nel Salvatore di quelle malvagità che il seduttore portò nel mondo e che furono accolte dall’uomo sedotto. Volle addossarsi certo la nostra debolezza, ma non essere partecipe delle nostre colpe.
   Assunse la condizione di schiavo, ma senza la contaminazione del peccato. Sublimò l’umanità, ma non sminuì la divinità. Il suo annientamento rese visibile l’invisibile e mortale il creatore e il signore di tutte le cose. Ma il suo fu piuttosto un abbassarsi misericordioso verso la nostra miseria, che una perdita della sua potestà e del suo dominio. Fu creatore dell’uomo nella condizione divina e uomo nella condizione di schiavo. Questo fu l’unico e medesimo Salvatore.
   Il Figlio di Dio fa dunque il suo ingresso in mezzo alle miserie di questo mondo, scendendo dal suo trono celeste, senza lasciare la gloria del Padre. Entra in una condizione nuova, nasce in un modo nuovo. Entra in una condizione nuova: infatti invisibile in se stesso si rende visibile nella nostra natura; infinito, si lascia circoscrivere; esistente prima di tutti i tempi, comincia a vivere nel tempo; padrone e signore dell’universo, nasconde la sua infinita maestà, prende la forma di servo; impassibile e immortale, in quanto Dio, non sdegna di farsi uomo passibile e soggetto alle leggi della morte.
   Colui infatti che è vero Dio, è anche vero uomo. Non vi è nulla di fittizio in questa unità, perché sussistono e l’umiltà della natura umana, e la sublimità della natura divina.
   Dio non subisce mutazione per la sua misericordia, così l’uomo non viene alterato per la dignità ricevuta. Ognuna delle nature opera in comunione con l’altra tutto ciò che le è proprio. Il Verbo opera ciò che spetta al Verbo, e l’umanità esegue ciò che è proprio dell’umanità. La prima di queste nature risplende per i miracoli che compie, l’altra soggiace agli oltraggi che subisce. E come il Verbo non rinunzia a quella gloria che possiede in tutto uguale al Padre, così l’umanità non abbandona la natura propria della specie.
   Non ci stancheremo di ripeterlo: L’unico e il medesimo è veramente Figlio di Dio e veramente figlio dell’uomo. È Dio, perché «in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1, 1). È uomo, perché «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14).

giovedì 24 marzo 2022

Giovedì della IIIª settimana di Quaresima - commento al Vangelo

Lc 11,14-23
 
In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo.
Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull'altra. Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.
Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino.
Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde».

Dal trattato «L’orazione» di Tertulliano, sacerdote
  L’orazione è un sacrificio spirituale, che ha cancellato gli antichi sacrifici. «Che m’importa», dice, «dei vostri sacrifici senza numero? Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco» (Is 1, 11). Chi richiede da voi queste cose? (cfr. Is 1, 12).
   Quello che richiede il Signore, l’insegna il vangelo: «È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità» (Gv 4, 23-24).
   Noi siamo i veri adoratori e i veri sacerdoti che, pregando in spirito, in spirito offriamo il sacrificio della preghiera, ostia a Dio appropriata e gradita, ostia che egli richiese e si provvide.
   Questa vittima, dedicata con tutto il cuore, nutrita dalla fede, custodita dalla verità, integra per innocenza, monda per castità, coronata dalla carità, dobbiamo accompagnare all’altare di Dio con il decoro delle opere buone tra salmi e inni, ed essa ci impetrerà tutto da Dio.
   Che cosa infatti negherà Dio alla preghiera che procede dallo spirito e dalla verità, egli che così l’ha voluta? Quante prove della sua efficacia leggiamo, sentiamo e crediamo!
   L’antica preghiera liberava dal fuoco, dalle fiere e dalla fame, eppure non aveva ricevuto la forma da Cristo.
   Quanto è più ampio il campo d’azione dell’orazione cristiana! La preghiera cristiana non chiamerà magari l’angelo della rugiada in mezzo al fuoco, non chiuderà le fauci ai leoni, non porterà il pranzo del contadino all’affamato, non darà il dono di immunizzarsi dal dolore, ma certo dà la virtù della sopportazione ferma e paziente a chi soffre, potenzia le capacità dell’anima con la fede nella ricompensa, mostra il valore grande del dolore accettato nel nome di Dio.
   Si sente raccontare che in antico la preghiera infliggeva colpi, sbaragliava eserciti nemici, impediva il beneficio della pioggia ai nemici. Ora invece si sa che la preghiera allontana ogni ira della giustizia divina, è sollecita dei nemici, supplica per i persecutori. Ha potuto strappare le acque al cielo, e impetrare anche il fuoco. Solo la preghiera vince Dio. Ma Cristo non volle che fosse causa di male e le conferì ogni potere di bene.
   Perciò il suo unico compito è richiamare le anime dei defunti dallo stesso cammino della morte, sostenere i deboli, curare i malati, liberare gli indemoniati, aprire le porte del carcere, sciogliere le catene degli innocenti. Essa lava i peccati, respinge le tentazioni, spegne le persecuzioni, conforta i pusillanimi, incoraggia i generosi, guida i pellegrini, calma le tempeste, arresta i malfattori, sostenta i poveri, ammorbidisce il cuore dei ricchi, rialza i caduti, sostiene i deboli, sorregge i forti.
   Pregano anche gli angeli, prega ogni creatura. Gli animali domestici e feroci pregano e piegano le ginocchia e, uscendo dalle stalle o dalle tane, guardano il cielo non a fauci chiuse, ma facendo vibrare l’aria di grida nel modo che a loro è proprio. Anche gli uccelli quando si destano, si levano verso il cielo, e al posto delle mani aprono le ali in forma di croce e cinguettano qualcosa che può sembrare una preghiera.
   Ma c’è un fatto che dimostra più di ogni altro il dovere dell’orazione. Ecco, questo: che il Signore stesso ha pregato.
   A lui sia onore e potenza nei secoli dei secoli. Amen.

mercoledì 23 marzo 2022

Mercoledì della IIIª settimana di Quaresima - commento al Vangelo

Mt 5,17-19
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

Dall’ascolto attento della Parola, deriva l’impegno a viverla e ad annunciarla. 
Bisogna dunque conoscerla e dedicare del tempo a scrutarla con attenzione. Non è questione di studio di un semplice oggetto, ma meditazione attenta e costante, illuminata dalla grazia dello Spirito Santo e dall’insegnamento dato da Gesù nei Vangeli, che permette di leggere in modo nuovo l’Antico Testamento.
Da questo esercizio scaturisce un cambiamento di vita, perché ciò che meditiamo non può lasciarci indifferenti. Così, chi ci osserva può apprendere una lezione che non ha bisogno di tante parole.
Amiamo il Signore e la Sua Parola così tanto che vogliamo impegnarci a viverla?

martedì 22 marzo 2022

Martedì della IIIª settimana di Quaresima - commento al Vangelo

Mt 18,21-35
 
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa".  Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: "Restituisci quello che devi!". Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò". Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?". Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Dai «Discorsi» di san Pietro Crisologo, vescovo
   Tre sono le cose, tre, o fratelli, per cui sta salda la fede, perdura la devozione, resta la virtù: la preghiera, il digiuno, la misericordia. Ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia. Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola e ricevono vita l’una dall’altra.
   Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica.
   Chi digiuna comprenda bene cosa significhi per gli altri non aver da mangiare. Ascolti chi ha fame, se vuole che Dio gradisca il suo digiuno. Abbia compassione, chi spera compassione. Chi domanda pietà, la eserciti. Chi vuole che gli sia concesso un dono, apra la sua mano agli altri. È un cattivo richiedente colui che nega agli altri quello che domanda per sé.
   O uomo, sii tu stesso per te la regola della misericordia. Il modo con cui vuoi che si usi misericordia a te, usalo tu con gli altri. La larghezza di misericordia che vuoi per te, abbila per gli altri. Offri agli altri quella stessa pronta misericordia, che desideri per te.
   Perciò preghiera, digiuno, misericordia siano per noi un’unica forza mediatrice presso Dio, siano per noi un’unica difesa, un’unica preghiera sotto tre aspetti.
   Quanto col disprezzo abbiamo perduto, conquistiamolo con il digiuno. Immoliamo le nostre anime col digiuno perché non c’è nulla di più gradito che possiamo offrire a Dio, come dimostra il profeta quando dice: «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, non disprezzi» (Sal 50, 19).
   O uomo, offri a Dio la tua anima ed offri l’oblazione del digiuno, perché sia pura l’ostia, santo il sacrificio, vivente la vittima, che a te rimanga e a Dio sia data. Chi non dà questo a Dio non sarà scusato, perché non può non avere se stesso da offrire. Ma perché tutto ciò sia accetto, sia accompagnato dalla misericordia. Il digiuno non germoglia se non è innaffiato dalla misericordia. Il digiuno inaridisce, se inaridisce la misericordia. Ciò che è la pioggia per la terra, è la misericordia per il digiuno. Quantunque ingentilisca il cuore, purifichi la carne, sràdichi i vizi, semini le virtù, il digiunatore non coglie frutti se non farà scorrere fiumi di misericordia.
   O tu che digiuni, sappi che il tuo campo resterà digiuno se resterà digiuna la misericordia. Quello invece che tu avrai donato nella misericordia, ritornerà abbondantemente nel tuo granaio. Pertanto, o uomo, perché tu non abbia a perdere col voler tenere per te, elargisci agli altri e allora raccoglierai. Da’ a te stesso, dando al povero, perché ciò che avrai lasciato in eredità ad un altro, tu non lo avrai.

lunedì 21 marzo 2022

Lunedì della IIIª settimana di Quaresima - commento al Vangelo

Lc 4, 24-30
 
In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret]: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo, ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Gesù è nel suo paese e parla con chiarezza e nella verità, ma questa non viene accettata. Perché è così difficile accettare ciò che il Signore ci comunica?
Il primo ostacolo è la mancanza di umiltà, sostituita dalla superbia. Anche noi, se non ascoltiamo con attenzione e accogliamo la Parola di Dio o le correzioni che ci vengono dai fratelli, reagiamo male davanti alla verità di noi stessi.
Un frutto della superbia è la mancanza di docilità a favore della permalosità, per cui possiamo ritenere che chi ci vuole correggere in realtà voglia solo sminuirci ma non farci migliorare.
Un altro atteggiamento è l’ira omicida, con reazioni che vorrebbero addirittura condurre alla morte coloro che minacciano il proprio status o le proprie certezze.
La conversione parte invece dall’ascolto attento e umile, senza presumere di essere migliori di qualcuno, ammettendo la possibilità di dover migliorare in ciò che ci viene indicato. Potrebbe accadere che chi ci vuole correggere stia sbagliando perché non vede chiaramente, in questo caso è comunque bene ascoltare, riservandoci, dopo riflessione personale e discernimento nella preghiera, di non accogliere ciò che magari è solo un tentativo di ferirci. Ma, anche in questo caso, l’apertura iniziale all’ascolto è bene che ci sia.
Impegniamoci dunque nel cammino di conversione.

domenica 20 marzo 2022

IIIª DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C - commento al Vangelo

Lc 13,1-9

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Nella liturgia di questa domenica, risuona forte il richiamo alla conversione, motivato dalla promessa della misericordia che Dio userà verso il Suo popolo. 
Mosè riceve una missione di misericordia verso il popolo d’Israele, per liberarlo.
Il salmo esalta le opere di Dio e la Sua pietà. La seconda lettura fa memoria delle opere di Dio e chiama alla conversione, perché anche chi riceve attenzioni da Dio, come il popolo di Israele, non sempre Gli è gradito.
Il Vangelo si apre invece con dei fatti del tempo di Gesù, che potremmo definire di cronaca nera. Le persone sono intimorite, ma non comprendono che da quei fatti possono trarre insegnamenti più grandi.
Così Gesù, attraverso la parabola del fico sterile, li conduce per mano a comprendere meglio. 
Dio ci dona un tempo prezioso, da vivere bene, da non sprecare. Questo è per noi il tempo della salvezza e quindi della conversione.
Facciamo attenzione a non essere semplici spettatori del presente, come chi riferisce a Gesù il fatto dei Galilei, e non ricadiamo nella tentazione di amplificare il male, come chi ripete e diffonde tutte le cose negative di questo mondo, alimentando la convinzione che nulla possa cambiare e migliorare.
Diveniamo invece portatori di una speranza fondata sulla misericordia di Dio, che ci dona un tempo per migliorare ed essere salvati.

sabato 19 marzo 2022

SAN GIUSEPPE SPOSO DELLA BEATA VERGINE MARIA – Solennità

Mt 1, 16.18-21.24a

Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore.


Dai «Discorsi» di san Bernardino da Siena, sacerdote
   Regola generale di tutte le grazie singolari partecipate a una creatura ragionevole è che quando la condiscendenza divina sceglie qualcuno per una grazia singolare o per uno stato sublime, concede alla persona così scelta tutti i carismi che le sono necessari per il suo ufficio. Naturalmente essi portano anche onore al prescelto. Ecco quanto si è avverato soprattutto nel grande san Giuseppe, padre putativo del Signore Gesù Cristo e vero sposo della regina del mondo e signora degli angeli. Egli fu scelto dall’eterno Padre come fedele nutrizio e custode dei suoi principali tesori, il Figlio suo e la sua sposa, e assolse questo incarico con la più grande assiduità. Perciò il Signore gli dice: Servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore (cfr. Mt 25, 21).
   Se poni san Giuseppe dinanzi a tutta la Chiesa di Cristo, egli è l’uomo eletto e singolare, per mezzo del quale e sotto il quale Cristo fu introdotto nel mondo in modo ordinato e onesto. Se dunque tutta la santa Chiesa è debitrice alla Vergine Madre, perché fu stimata degna di ricevere Cristo per mezzo di lei, così in verità dopo di lei deve a Giuseppe una speciale riconoscenza e riverenza.
   Infatti egli segna la conclusione dell’Antico Testamento e in lui i grandi patriarchi e i profeti conseguono il frutto promesso. Invero egli solo poté godere della presenza fisica di colui che la divina condiscendenza aveva loro promesso.
   Certamente Cristo non gli ha negato in cielo quella familiarità, quella riverenza e quell’altissima dignità che gli ha mostrato mentre viveva fra gli uomini, come figlio a suo padre, ma anzi l’ha portata al massimo della perfezione.
   Perciò non senza motivo il Signore soggiunge: «Entra nella gioia del tuo Signore». Sebbene sia la gioia della beatitudine eterna che entra nel cuore dell’uomo, il Signore ha preferito dire: «Entra nella gioia», per insinuare misticamente che quella gioia non solo è dentro di lui, ma lo circonda e assorbe da ogni parte e lo sommerge come un abisso infinito.
   Ricòrdati dunque di noi, o beato Giuseppe, e intercedi presso il tuo Figlio putativo con la tua potente preghiera; ma rendici anche propizia la beatissima Vergine tua sposa, che è Madre di colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli infiniti. Amen.

venerdì 18 marzo 2022

Venerdì della IIª settimana di Quaresima commento al Vangelo

Mt 21, 33-43.45-46
 
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.

Questa parabola mette bene in luce l’attenzione che il Padre ha per il Suo popolo, con la pazienza e l’attesa del tempo opportuno per inviare il proprio Figlio. Siamo un popolo di lavoratori della vigna, che devono farla fruttificare e rendere conto del proprio operato. 
Chiediamoci innanzitutto se stiamo prendendoci cura di questo mondo nel modo migliore possibile, annunciando il regno di Dio come qualcosa che non ci appartiene, oppure crediamo di esserne padroni al posto del Padre. 
Siamo un popolo omicida, che è pronto a uccidere chi gli annuncia la verità o mina il proprio potere oppure viviamo da popolo nuovo, che accoglie l’eredità del sangue del Figlio di Dio?
Meditare sulla Passione di Cristo, ci aiuta a comprendere come si può essere lavoratori fedeli della vigna, nel dono di sé senza alcuna ricerca di privilegi o di potere.

giovedì 17 marzo 2022

Giovedì della IIª settimana di Quaresima - commento al Vangelo

Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma".
Ma Abramo rispose: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi".
E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"».


Dai «Trattati sui salmi» di sant’Ilario, vescovo

«Beato l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie» (Sal 127, 1). Ogni volta che nella Scrittura si parla del timore del Signore, bisogna tener presente che non si trova mai da solo, come se per noi bastasse alla completezza della fede, ma gli vengono aggiunti o anteposti molti altri valori.     Da questi si comprende l’essenza e la perfezione del timor di Dio, come sappiamo da quanto è detto nei Proverbi di Salomone: «Se appunto invocherai l’intelligenza e chiamerai la saggezza, se la ricercherai come l’argento e per essa scaverai come per i tesori, allora comprenderai il timore del Signore» (Pro 2, 3-5).                                         Vediamo da ciò per quanti gradi si arriva al timore di Dio.                          Anzitutto, chiesto il dono della sapienza, si deve affidare tutto il compito dell’approfondimento al dono dell’intelletto, con il quale ricercare e investigare la sapienza. Solo allora si potrà comprendere il timore del Signore. Certamente il modo comune di ragionare degli uomini non procede così circa il timore.                                             Infatti il timore è considerato come la paura che ha l’umana debolezza quando teme di soffrire ciò che non vorrebbe gli accadesse. Tale genere di timore si desta in noi con il rimorso della colpa, di fronte al diritto del più potente, o all’attacco del più forte, a causa di una malattia, per l’incontro con una bestia feroce o, infine, per la sofferenza di qualsiasi male.
   Non è questo il timore che qui si insegna, perché esso deriva dalla debolezza naturale.
   In questa linea di timore, infatti, ciò che si deve temere non è per nulla oggetto e materia di apprendimento, poiché le cose temibili si incaricano da se stesse a incutere terrore.
   Del timore del Signore invece così sta scritto: «Venite, figli, ascoltatemi; v’insegnerò il timore del Signore» (Sal 33, 12). Dunque si impara il timore del Signore, perché viene insegnato. Questo genere di timore non sta nello spavento naturale e spontaneo, ma in una realtà che viene comunicata come una dottrina. Non promana dalla trepidazione della natura, ma lo si comincia ad apprendere con l’osservanza dei comandamenti, con le opere di una vita innocente, e con la conoscenza della verità.
   Per conto nostro il timore di Dio è tutto nell’amore, e l’amore perfetto perfeziona questo timore.
   Il compito proprio del nostro amore verso Dio è di ascoltarne gli ammonimenti, obbedire ai suoi comandamenti, fidarsi delle sue promesse.
   Ascoltiamo dunque la Scrittura che dice: «Ora, Israele, che cosa ti chiede il Signore tuo Dio, se non che tu tema il Signore tuo Dio, che tu cammini per tutte le sue vie, che tu l’ami e serva il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima, che tu osservi i comandi del Signore e le sue leggi, che oggi ti do per il tuo bene?» (Dt 10, 12).
   Molte poi sono le vie del Signore, benché egli stesso sia la via. Ma quando parla di se stesso si chiama via, dando anche la ragione per cui si chiami così: «Nessuno», dice, «viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 6).
   Bisogna dunque porsi il problema delle molte vie possibili e ponderare molti elementi perché, edotti da molte ragioni, possiamo trovare quell’unica via della vita eterna che fa per noi.
   Vi sono infatti vie nella legge, vie nei profeti, vie nei vangeli, vie negli apostoli, vie anche nelle diverse opere dei maestri.
   Beati coloro che camminano in esse col timore di Dio.

mercoledì 16 marzo 2022

Mercoledì della IIª settimana di Quaresima - commento al Vangelo

Mt 20,17-28
 
In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà».
Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno».
Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Gesù annuncia la sua passione, morte e risurrezione, ma a quanto pare non c’è un vero ascolto da parte dei discepoli. Se, dopo un discorso del genere, c’è chi cerca i primi posti e chi è sdegnato con gli altri, bisogna camminare e crescere ancora tanto per potersi allineare al modo di pensare del Signore. Inoltre, pare esserci una mancanza di sensibilità nei suoi confronti e verso le scelte che Egli sta per affrontare.
Ecco perché è necessaria la lezione del servizio che diventa dono di sé. 
Quando ci confrontiamo con questo brano, possono emergere tutte le nostre imperfezioni, quelle sottili ricerche di gratificazione personale, a volte anche nascoste dietro una parvenza di servizio o di discepolato. Se ci sono tensioni con altre persone, invidie nascoste o manifeste, critiche continue che minano l'unità di una comunità, mancanza di volontà di donarsi appieno, allora dobbiamo chiedere al Signore che ci converta e impegnarci perché questo avvenga.