giovedì 31 luglio 2025

SANT'IGNAZIO DI LOYOLA, PRESBITERO - MEMORIA

Mt 13,47-53

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:

«Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.

Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Terminate queste parabole, Gesù partì di là.

Nel Vangelo, Gesù parla del discernimento con immagini tratte dalla vita ordinaria; ad esempio, descrive i pescatori che selezionano i pesci buoni e scartano quelli cattivi; o il mercante che sa individuare, tra tante perle, quella di maggior valore. O colui che, arando un campo, si imbatte in qualcosa che si rivela essere un tesoro (cfr Mt 13,44-48). (…) Nel giudizio finale Dio opererà un discernimento - il grande discernimento - nei nostri confronti. Le immagini del contadino, del pescatore e del mercante sono esempi di ciò che accade nel Regno dei cieli, un Regno che si manifesta nelle azioni ordinarie della vita, che richiedono di prendere posizione. Per questo è così importante saper discernere: le grandi scelte possono nascere da circostanze a prima vista secondarie, ma che si rivelano decisive. Per esempio, pensiamo al primo incontro di Andrea e Giovanni con Gesù, un incontro che nasce da una semplice domanda: “Rabbì, dove abiti?” – “Venite e vedrete” (cfr Gv 1,38-39), dice Gesù. Uno scambio brevissimo, ma è l’inizio di un cambiamento che, passo a passo, segnerà tutta la vita. A distanza di anni, l’Evangelista continuerà a ricordare quell’incontro che lo ha cambiato per sempre, ricorderà anche l’ora: «Erano circa le quattro del pomeriggio» (v. 39). È l’ora in cui il tempo e l’eterno si sono incontrati nella sua vita. E in una decisione buona, giusta, si incontra la volontà di Dio con la nostra volontà; si incontra il cammino attuale con l’eterno. Prendere una giusta decisione, dopo una strada di discernimento, è fare questo incontro: il tempo con l’eterno. (Papa Francesco - Udienza generale, 31 agosto 2022)

mercoledì 30 luglio 2025

MERCOLEDÌ DELLA XVII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 13,44-46

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:

«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.

Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra».

Queste similitudini mettono in evidenza due caratteristiche riguardanti il possesso del Regno di Dio: la ricerca e il sacrificio. È vero che il Regno di Dio è offerto a tutti - è un dono, è un regalo, è grazia - ma non è messo a disposizione su un piatto d’argento, richiede un dinamismo: si tratta di cercare, camminare, darsi da fare. L’atteggiamento della ricerca è la condizione essenziale per trovare; bisogna che il cuore bruci dal desiderio di raggiungere il bene prezioso, cioè il Regno di Dio che si fa presente nella persona di Gesù. È Lui il tesoro nascosto, è Lui la perla di grande valore. Egli è la scoperta fondamentale, che può dare una svolta decisiva alla nostra vita, riempiendola di significato. Di fronte alla scoperta inaspettata, tanto il contadino quanto il mercante si rendono conto di avere davanti un’occasione unica da non lasciarsi sfuggire, pertanto vendono tutto quello che possiedono. La valutazione del valore inestimabile del tesoro, porta a una decisione che implica anche sacrificio, distacchi e rinunce. Quando il tesoro e la perla sono stati scoperti, quando cioè abbiamo trovato il Signore, occorre non lasciare sterile questa scoperta, ma sacrificare ad essa ogni altra cosa. Non si tratta di disprezzare il resto, ma di subordinarlo a Gesù, ponendo Lui al primo posto. La grazia al primo posto. (Papa Francesco - Angelus, 30 dicembre 2017)

martedì 29 luglio 2025

SANTI MARTA, MARIA E LAZZARO – MEMORIA

Gv 11,19-27

In quel tempo, molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa.

Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà».

Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno».

Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

Dai « Sermoni » di san Bernardo, abate

Consideriamo, o fratelli, come in questa nostra casa l'ordine della carità ha distribuito tre compiti: il servizio a Marta, la contemplazione a Maria, la penitenza a Lazzaro. Qualunque anima che sia perfetta possiede tutte e tre insieme queste cose, e però sembra piuttosto che a ciascuna si addica meglio l'una o l'altra di esse, per cui alcuni si danno alla santa contemplazione, altri sono dediti al servizio dei fratelli, altri infine ripensano al loro passato nell'amarezza della loro anima, come gli uccisi che dormono nei sepolcri. Sì, è necessario proprio questo, che Maria sperimenti il suo Dio con sentimenti di tenerezza e di esaltazione, che Marta si occupi del prossimo con benevolenza e misericordia, che Lazzaro con tristezza e umiltà pensi a se stesso.

Ciascuno consideri in quale di questi stati si trova. «Anche se in mezzo a questa città si trovassero questi tre uomini, Noè, Daniele e Giobbe, essi, con la loro giustizia, salveranno se stessi, dice il Signore, ma non salveranno il figlio né la figlia» (Ez 14, 16). Non vogliamo illudere nessuno; voglia il cielo che nessuno di voi illuda se stesso! Quelli ai quali non è stato affidato alcun incarico, né attribuito alcun servizio, dovranno assolutamente stare seduti, o con Maria ai piedi di Gesù, o certo con Lazzaro nel recinto del sepolcro.

Perché Marta non dovrebbe inquietarsi per molte cose dato che è sollecitata per molti? A te però, che non ti trovi in questa necessità, delle due una è necessaria: o non turbarsi affatto, ma deliziarsi maggiormente nel Signore; oppure, se non sei ancora in grado di fare ciò, non preoccuparti per molte cose, ma come il Profeta dice di sé, occupati di te stesso.

Ma pure la stessa Marta è necessario che venga ammonita, ricordandole che ciò che soprattutto è richiesto negli amministratori è che siano trovati fedeli. Sarà fedele colui che non cerca il suo interesse proprio, ma quello di Gesù Cristo, che abbia un'intenzione pura, che non faccia la sua volontà, ma quella del Signore, e agisca in modo ordinato. Ce ne sono, infatti, il cui occhio non è semplice, e ricevono la ricompensa che si meritano. Ce ne sono che si lasciano portare dai loro sentimenti interiori, e tutto ciò che offrono ne resta inquinato, proprio perché in essi si trova solo la loro volontà propria.

Vieni ora con me al canto nuziale, e consideriamo come lo sposo, là dove chiama la sposa, non ha omesso nessuna di queste tre cose, e non ne ha aggiunte altre: «Alzati, dice, affrettati amica mia, mia bella, mia colomba, e vieni». Non è forse amica colei che, intenta agli interessi del Signore, con fedeltà mette a sua disposizione persino la propria vita? Tutte le volte, infatti, che per uno dei suoi fratelli più piccoli interrompe lo studio spirituale, offre spiritualmente per lui la propria vita. E non è forse bella colei che, contemplando a volto scoperto la gloria del Signore, si trasforma nella medesima immagine di chiarità in chiarità, come sotto l'azione dello Spirito? E non è forse una colomba quella che piange e geme nelle fessure della roccia, nei buchi della muraglia, come fosse sepolta sotto una pietra?

lunedì 28 luglio 2025

LUNEDÌ DELLA XVII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 13,31-35

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».

Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:

«Aprirò la mia bocca con parabole,

proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».

Parlare di Dio vuol dire anzitutto avere ben chiaro ciò che dobbiamo portare agli uomini e alle donne del nostro tempo: non un Dio astratto, una ipotesi, ma un Dio concreto, un Dio che esiste, che è entrato nella storia ed è presente nella storia; il Dio di Gesù Cristo come risposta alla domanda fondamentale del perché e del come vivere. Per questo, parlare di Dio richiede una familiarità con Gesù e il suo Vangelo, suppone una nostra personale e reale conoscenza di Dio e una forte passione per il suo progetto di salvezza, senza cedere alla tentazione del successo, ma seguendo il metodo di Dio stesso. Il metodo di Dio è quello dell’umiltà – Dio si fa uno di noi – è il metodo realizzato nell’Incarnazione nella semplice casa di Nazaret e nella grotta di Betlemme, quello della parabola del granellino di senape. Occorre non temere l’umiltà dei piccoli passi e confidare nel lievito che penetra nella pasta e lentamente la fa crescere (cfr Mt 13,33). Nel parlare di Dio, nell’opera di evangelizzazione, sotto la guida dello Spirito Santo, è necessario un recupero di semplicità, un ritornare all’essenziale dell’annuncio: la Buona Notizia di un Dio che è reale e concreto, un Dio che si interessa di noi, un Dio-Amore che si fa vicino a noi in Gesù Cristo fino alla Croce e che nella Risurrezione ci dona la speranza e ci apre ad una vita che non ha fine, la vita eterna, la vita vera. (Benedetto XVI - Udienza generale, 28 novembre 2012)

domenica 27 luglio 2025

XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Lc 11,1-13

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:

"Padre,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno;

dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,

e perdona a noi i nostri peccati,

anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,

e non abbandonarci alla tentazione"».

Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.

Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.

Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Si prega con coraggio, perché quando preghiamo abbiamo un bisogno, normalmente. Dio è un amico, un amico ricco, che ha del pane, che ha quello di cui noi abbiamo bisogno. È come se Gesù dicesse: “Nella preghiera, siate invadenti, non stancatevi”. Non stancarsi di che? Di chiedere. Chiedete e vi sarà dato. Perché è un lavoro, un lavoro che ci chiede volontà, ci chiede costanza, ci chiede di essere determinati, senza vergogna. Perché? Perché io sto bussando alla porta del mio amico. Dio è un amico, e con un amico io posso fare questo. Una preghiera costante, invadente. Pensiamo a Santa Monica per esempio. Quanti anni ha pregato anche con le lacrime per la conversione di suo figlio. Il Signore alla fine ha aperto la porta. (Papa Francesco - Omelia Santa Marta, 11 ottobre 2018)

giovedì 24 luglio 2025

GIOVEDÌ DELLA XVI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 13,10-17

In quel tempo, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?».

Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.

Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:

“Udrete, sì, ma non comprenderete,

guarderete, sì, ma non vedrete.

Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,

sono diventati duri di orecchi

e hanno chiuso gli occhi,

perché non vedano con gli occhi,

non ascoltino con gli orecchi

e non comprendano con il cuore

e non si convertano e io li guarisca!”.

Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!».

Continuiamo oggi a meditare sulle parole di Gesù che ci aiutano a ritrovare la speranza perché ci mostrano come Dio opera nella storia. Possiamo riconoscere il modo di comunicare di Gesù che ha tanto da insegnarci per l’annuncio del Vangelo oggi. Ogni parabola racconta una storia che è presa dalla vita di tutti i giorni, eppure vuole dirci qualcosa in più, ci rimanda a un significato più profondo. La parabola fa nascere in noi delle domande, ci invita a non fermarci all’apparenza. Davanti alla storia che viene raccontata o all’immagine che mi viene consegnata, posso chiedermi: dove sono io in questa storia? Cosa dice questa immagine alla mia vita? Il termine parabola viene infatti dal verbo greco paraballein, che vuol dire gettare innanzi. La parabola mi getta davanti una parola che mi provoca e mi spinge a interrogarmi. (Papa Leone XIV - Udienza generale, 21 maggio 2025)

martedì 22 luglio 2025

SANTA MARIA MADDALENA – FESTA

Gv 20,1-2.11-18

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!».

Maria stava all'esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto».

Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» - che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: "Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro"».

Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa

Maria Maddalena, venuta al sepolcro, e non trovandovi il corpo del Signore, pensò che fosse stato portato via e riferì la cosa ai discepoli. Essi vennero a vedere, e si persuasero che le cose stavano proprio come la donna aveva detto. Di loro si afferma subito: «I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa»; poi si soggiunge: «Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva» (Gv 20, 10-11).

In questo fatto dobbiamo considerare quanta forza d’amore aveva invaso l’anima di questa donna, che non si staccava dal sepolcro del Signore, anche dopo che i discepoli se ne erano allontanati. Cercava colui che non aveva trovato, piangeva in questa ricerca e, accesa di vivo amore per lui, ardeva di desiderio, pensando che fosse stato trafugato.

Accadde perciò che poté vederlo essa sola che era rimasta per cercarlo; perché la forza dell’opera buona sta nella perseveranza, come afferma la voce stessa della Verità: «Chi persevererà sino alla fine, sarà salvato» (Mt 10, 22).

Cercò dunque una prima volta, ma non trovò, perseverò nel cercare, e le fu dato di trovare. Avvenne così che i desideri col protrarsi crescessero, e crescendo raggiungessero l’oggetto delle ricerche. I santi desideri crescono col protrarsi. Se invece nell’attesa si affievoliscono, è segno che non erano veri desideri.

Ha provato questo ardente amore chiunque è riuscito a giungere alla verità. Così Davide che dice: «L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal 41, 3). E la Chiesa dice ancora nel Cantico de Cantici: Io sono ferita d’amore (cfr. Ct 4, 9). E di nuovo dice: L’anima mia è venuta meno (cfr. Ct 5, 6).

«Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20, 15). Le viene chiesta la causa del dolore, perché il desiderio cresca, e chiamando per nome colui che cerca, s’infiammi di più nell’amore di lui.

«Gesù le disse: Maria!» (Gv 20, 16). Dopo che l’ha chiamata con l’appellativo generico del sesso senza essere riconosciuto, la chiama per nome come se volesse dire: Riconosci colui dal quale sei riconosciuta. Io ti conosco non come si conosce una persona qualunque, ma in modo del tutto speciale.

Maria dunque, chiamata per nome, riconosce il Creatore e subito grida: «Rabbunì», cioè «Maestro»: era lui che ella cercava all’esterno, ed era ancora lui che la guidava interiormente nella ricerca.

lunedì 21 luglio 2025

LUNEDÌ DELLA XVI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 12,38-42

In quel tempo, alcuni scribi e farisei dissero a Gesù: «Maestro, da te vogliamo vedere un segno».

Ed egli rispose loro: «Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra.

Nel giorno del giudizio, quelli di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona! Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro questa generazione e la condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone!».

Il segno di Giona, il vero, è quello che ci dà la fiducia di essere salvati per il sangue di Cristo. Quanti cristiani, quanti ce ne sono, pensano che saranno salvati soltanto per quello che loro fanno, per le loro opere. Le opere sono necessarie, ma sono una conseguenza, una risposta a quell’amore misericordioso che ci salva. Ma le opere sole, senza questo amore misericordioso non servono. Invece, la ‘sindrome di Giona’ ha fiducia soltanto nella sua giustizia personale, nelle sue opere. (Papa Francesco – Omelia Santa Marta, 14 ottobre 2013)

domenica 20 luglio 2025

XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Lc 10,38-42

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.

Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.

Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Marta e Maria sono due sorelle; hanno anche un fratello, Lazzaro, che però in questo caso non compare. Gesù passa per il loro villaggio e – dice il testo – Marta lo ospitò (cfr 10,38). Questo particolare lascia intendere che, delle due, Marta è la più anziana, quella che governa la casa. Infatti, dopo che Gesù si è accomodato, Maria si mette a sedere ai suoi piedi e lo ascolta, mentre Marta è tutta presa dai molti servizi, dovuti certamente all’Ospite eccezionale. Ci sembra di vedere la scena: una sorella che si muove indaffarata, e l’altra come rapita dalla presenza del Maestro e dalle sue parole. Dopo un po’ Marta, evidentemente risentita, non resiste più e protesta, sentendosi anche in diritto di criticare Gesù: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Marta vorrebbe addirittura insegnare al Maestro! Invece Gesù, con grande calma, risponde: “Marta, Marta – e questo nome ripetuto esprime l’affetto –, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (10,41-42). La parola di Cristo è chiarissima: nessun disprezzo per la vita attiva, né tanto meno per la generosa ospitalità; ma un richiamo netto al fatto che l’unica cosa veramente necessaria è un’altra: ascoltare la Parola del Signore; e il Signore in quel momento è lì, presente nella Persona di Gesù! Tutto il resto passerà e ci sarà tolto, ma la Parola di Dio è eterna e dà senso al nostro agire quotidiano. (Benedetto XVI – Angelus, 18 luglio 2010)

sabato 19 luglio 2025

SABATO DELLA XV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 12,14-21

In quel tempo, i farisei uscirono e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:

«Ecco il mio servo, che io ho scelto;

il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento.

Porrò il mio spirito sopra di lui

e annuncerà alle nazioni la giustizia.

Non contesterà né griderà

né si udrà nelle piazze la sua voce.

Non spezzerà una canna già incrinata,

non spegnerà una fiamma smorta,

finché non abbia fatto trionfare la giustizia;

nel suo nome spereranno le nazioni».

I Carmi sul servo di Jahvè trovano ampia risonanza “nel Nuovo Testamento”, fin dall’inizio dell’attività messianica di Gesù. Già la descrizione del battesimo nel Giordano permette di stabilire un parallelismo con i testi di Isaia. Scrive Matteo: “Appena battezzato (Gesù) . . . si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui” (Mt 3, 16); in Isaia è detto: “Ho posto il mio spirito su di lui” (Is 42, 1). L’evangelista aggiunge: “Ed ecco una voce dal cielo che disse: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mt 3, 17) mentre in Isaia Dio dice del servo: “il mio eletto in cui mi compiaccio” (Is 42, 1). Giovanni Battista indica Gesù che si avvicina al Giordano, con le parole: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo” (Gv 1, 29), esclamazione che rappresenta quasi una sintesi del contenuto del terzo e del quarto Carme di Isaia sul servo di Jahvè sofferente. […] Come i Vangeli, così anche gli Atti degli Apostoli dimostrano che la prima generazione dei discepoli di Cristo, a cominciare dagli apostoli, è profondamente convinta che in Gesù ha trovato compimento tutto ciò che il profeta Isaia ha annunciato nei suoi Carmi ispirati: che Gesù è l’eletto Servo di Dio (cf. per esempio At 3, 13.26; 4,27.30; 1 Pt 2, 22-25), che compie la missione del servo di Jahvè e porta la Legge nuova, è luce e alleanza per tutte le nazioni (cf. At 13, 46-47). (San Giovanni Paolo II – Udienza generale, 25 febbraio 1987)

venerdì 18 luglio 2025

VENERDÌ DELLA XV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 12,1-8

In quel tempo, Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle.

Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato».

Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio vìolano il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: "Misericordia io voglio e non sacrifici", non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato».

Deve […] essere ricordata la risposta che Gesù diede ai farisei, i quali rimproveravano ai suoi discepoli di strappare le spighe dai campi ricolmi di grano per mangiarle in giorno di sabato, violando così la legge mosaica. Gesù dapprima cita loro l’esempio di Davide e dei suoi compagni che non esitarono a mangiare i “pani dell’offerta” per sfamarsi, e quello dei sacerdoti che in giorno di sabato non osservano la legge del riposo perché svolgono le loro funzioni nel tempio. Poi conclude con due affermazioni perentorie, inaudite per i farisei: “Ora io vi dico che qui c’è qualcosa più grande del tempio . . .”, e: “Il Figlio dell’Uomo è signore anche del sabato” (Mt 12, 6.8; cf. Mc 2, 27-28). Sono dichiarazioni che rivelano chiaramente la coscienza che Gesù aveva della sua autorità divina. Il definirsi “uno al di sopra del tempio” era un’allusione abbastanza chiara alla sua divina trascendenza. Proclamarsi poi “signore del sabato”, ossia di una Legge data da Dio stesso a Israele, era l’aperta proclamazione della propria autorità come capo del regno messianico e promulgatore della nuova Legge. Non si trattava dunque di semplici deroghe alla legge mosaica, ammesse anche dai rabbini in casi molto ristretti, ma di una reintegrazione, di un completamento e di un rinnovamento che Gesù enuncia come intramontabili: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24, 35). Ciò che viene da Dio è eterno, come è eterno Dio. (San Giovanni Paolo II – Udienza generale, 14 ottobre 1987)

giovedì 17 luglio 2025

GIOVEDÌ DELLA XV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 11,28-30

In quel tempo, Gesù disse:

«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.

Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

L’amore, con cui Gesù ci ha amati, è umile e ha carattere di servizio. “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45). La vigilia della passione, prima dell’istituzione dell’Eucaristia, Gesù lava i piedi agli apostoli e dice loro: “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13, 15). E in un’altra occasione li ammonisce: “Chi vuole essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo fra voi sarà il servo di tutti” (Mc 10, 43-44). Alla luce di questo modello di umile disponibilità che giunge fino al definitivo “servizio” della croce, Gesù può invitare i discepoli: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 29). L’amore insegnato da Cristo si esprime nel servizio reciproco, che porta a sacrificarsi gli uni per gli altri, e la cui definitiva verifica sta nell’offrire la propria vita “per i fratelli” (1 Gv 3, 16). È ciò che san Paolo pone in risalto quando scrive che “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei (Ef 5, 25). […] Il sacrificio di Cristo è divenuto il prezzo e il compenso per la liberazione dell'uomo, la liberazione dalla schiavitù del peccato, il passaggio alla libertà dei figli di Dio. […] Questa verità centrale della nuova alleanza costituisce nello stesso tempo il compimento dell’annuncio profetico di Isaia riguardo al servo del Signore: “Egli è stato trafitto per i nostri delitti . . ., per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53, 5); “Egli ha portato i peccati di molti (Is 53, 12). Si può dire che la redenzione era l’attesa di tutta l’antica alleanza. (San Giovanni Paolo II – Udienza generale, 31 agosto 1988)

mercoledì 16 luglio 2025

BEATA VERGINE MARIA DEL MONTE CARMELO

Mt 11,25-27

In quel tempo, Gesù disse:

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.

Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».

Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa

Viene scelta una vergine di discendenza regale della stirpe di Davide, che, destinata ad una sacra maternità, concepì il Figlio, Uomo-Dio, prima nel suo cuore che nel suo corpo. E perché, ignorando il disegno divino, non avesse a temere di fronte ad un evento eccezionale, apprende dal colloquio con l’angelo ciò che lo Spirito Santo avrebbe operato in lei. E colei che sta per divenire Madre di Dio, non pensa che ciò avvenga a scapito del pudore. Perché infatti non dovrebbe credere alla novità del concepimento, dato che le viene promesso l’intervento efficace della potenza dell’Altissimo? Inoltre la sua fede, già perfetta, viene confermata dalla testimonianza di un miracolo precedente: contro ogni aspettativa, viene accordata, cioè, ad Elisabetta la fecondità. Così non si poteva dubitare che, chi aveva dato la fecondità ad una donna sterile, la poteva dare anche a una vergine.

Pertanto il Verbo di Dio, Dio egli stesso e Figlio di Dio, che in principio era presso Dio e per mezzo del quale tutto è stato fatto, e senza del quale niente è stato fatto di tutto ciò che esiste (cfr. Gv 1, 3), si è fatto uomo per liberare l’uomo dalla morte eterna. Ma, abbassandosi fino ad assumere la nostra umile condizione, non diminuì la sua maestà. Così, restando quello che era, ed assumendo ciò che non era, unì la vera natura di servo a quella che lo fa uguale a Dio Padre. Congiunse le due nature con un vincolo così meraviglioso, che né la gloria a cui era chiamata assorbì la natura inferiore, né l’assunzione di questa natura diminuì la natura superiore.

Salvo perciò restando ciò che era proprio a ciascuna natura e convergendo le due nature in una sola persona, ecco che l’umiltà è assunta dalla maestà, la debolezza dalla potenza e la mortalità dall’eternità.

Per pagare il debito proprio della nostra condizione, la natura impassibile si è unita alla nostra natura passibile e il vero Dio e il vero uomo vengono ad unirsi in un solo Signore. In tal modo, proprio come conveniva alla nostra salvezza, l’unico, il «solo mediatore, fra Dio e gli uomini» (1 Tm 2, 5) poteva morire in virtù di una natura, e risorgere in virtù dell’altra.

Perciò la nascita del Salvatore non recò il minimo pregiudizio all’integrità della Vergine, perché la nascita di colui che è la verità fu salvaguardia della sua purezza. Pertanto era conveniente, o miei cari, che Cristo «potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Cor 1, 24) nascesse in tal modo da porsi a nostro livello per la sua natura umana, e fosse infinitamente superiore a noi per la sua divinità. Difatti, se non fosse vero Dio, non ci avrebbe portato la salvezza, e se non fosse vero uomo, non ci avrebbe dato l’esempio.

È per questo che alla nascita del Signore gli angeli cantano esultanti: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli» e annunziano: «pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). Essi infatti vedono che la Gerusalemme celeste è un edificio formato da tutti i popoli della terra. Se dunque di questa opera ineffabile della misericordia divina tanta gioia provano gli angeli, che sono creature eccelse, quanto dovranno goderne gli uomini, che sono umilissime creature?

martedì 15 luglio 2025

SAN BONAVENTURA, VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA - MEMORIA

Mt 11,20-24

In quel tempo, Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: «Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.

E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sodòma sarà trattata meno duramente di te!».

La fede in Dio chiede di rinnovare ogni giorno la scelta del bene rispetto al male, la scelta della verità rispetto alla menzogna, la scelta dell’amore del prossimo rispetto all’egoismo. Chi si converte a questa scelta, dopo aver sperimentato il peccato, troverà i primi posti nel Regno dei cieli, dove c’è più gioia per un solo peccatore che si converte che per novantanove giusti. Ma la conversione, cambiare il cuore, è un processo, un processo che ci purifica dalle incrostazioni morali. E a volte è un processo doloroso, perché non c’è la strada della santità senza qualche rinuncia e senza il combattimento spirituale. Combattere per il bene, combattere per non cadere nella tentazione, fare da parte nostra quello che possiamo, per arrivare a vivere nella pace e nella gioia delle Beatitudini. (Papa Francesco - Angelus, 27 settembre 2020)

lunedì 14 luglio 2025

LUNEDÌ DELLA XV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 10,34-11,1

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:

«Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l'uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa.

Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.

Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.

Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.

Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.

Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città.

Gesù sottolinea due aspetti essenziali per la vita del discepolo missionario: il primo, che il suo legame con Gesù è più forte di qualunque altro legame; il secondo, che il missionario non porta sé stesso, ma Gesù, e mediante Lui l’amore del Padre celeste. Questi due aspetti sono connessi, perché più Gesù è al centro del cuore e della vita del discepolo, più questo discepolo è “trasparente” alla sua presenza. Vanno insieme, tutti e due. […] C’è una reciprocità anche nella missione: se tu lasci tutto per Gesù, la gente riconosce in te il Signore; ma nello stesso tempo ti aiuta a convertirti ogni giorno a Lui, a rinnovarti e purificarti dai compromessi e a superare le tentazioni. Quanto più un sacerdote è vicino al popolo di Dio, tanto più si sentirà prossimo a Gesù, e quanto più un sacerdote è vicino a Gesù, tanto più si sentirà prossimo al popolo di Dio. (Papa Francesco - Angelus, 2 luglio 2017)

domenica 13 luglio 2025

XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Lc 10,25-37

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Il Vangelo di questa domenica si apre con la domanda che un dottore della Legge pone a Gesù: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» (Lc 10,25). Sapendolo esperto nelle Sacre Scritture, il Signore invita quell’uomo a dare lui stesso la risposta, che infatti egli formula perfettamente, citando i due comandamenti principali: amare Dio con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze, e amare il prossimo come se stessi. Allora il dottore della Legge, quasi per giustificarsi, chiede: “E chi è mio prossimo?” (Lc 10,29). Questa volta, Gesù risponde con la celebre parabola del “buon Samaritano” (cfr Lc 10,30-37), per indicare che sta a noi farci “prossimo” di chiunque abbia bisogno di aiuto. […] Questo racconto evangelico offre il “criterio di misura”, cioè “l’universalità dell’amore che si volge verso il bisognoso incontrato «per caso» (cfr Lc 10,31), chiunque egli sia” (Enc. Deus caritas est, 25). Accanto a questa regola universale, vi è anche un’esigenza specificamente ecclesiale: che “nella Chiesa stessa, in quanto famiglia, nessun membro soffra perché nel bisogno” (ibid.). Il programma del cristiano, appreso dall’insegnamento di Gesù, è “un cuore che vede” dove c’è bisogno di amore, e agisce in modo conseguente (cfr ivi, 31). (Benedetto XVI – Angelus, 11 luglio 2010)

sabato 12 luglio 2025

SABATO DELLA XIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 10,24-33

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:

«Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia!

Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.

E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l'anima e il corpo.

Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

“Non abbiate timore” (Mt 10, 31). Per tre volte l’invito alla fiducia è risuonato nella proclamazione dell’odierno Vangelo. Il Signore Gesù, il Risorto, lo ripete anche a noi oggi, lo ripete all’umanità […] Intorno a noi, carissimi fratelli e sorelle, e talora anche dentro di noi, s’annida il fascino di ciò che è relativo e mutevole, di ciò che, nella sua provvisorietà, non impegna fino in fondo. La verità lascia così il passo al relativismo delle opinioni. In un simile contesto, i credenti, sostenuti dalla forza dello Spirito Santo, sono chiamati ad essere presenza critica di ogni incompiutezza ed errore per servire senza tentennamenti e paure la verità. È un debito, questo, che la Chiesa ha in particolare nei confronti delle giovani generazioni, la cui naturale aspirazione ad un mondo nuovo può trovare una risposta appagante solo in Cristo, unica autentica “novità” della storia. […] Oggi non è tempo di nascondere il Vangelo, ma di “predicarlo sui tetti” (cf. Mt 10, 27). (San Giovanni Paolo II - Visita pastorale a Foligno, Omelia 20 giugno 1993)

venerdì 11 luglio 2025

SAN BENEDETTO, ABATE, PATRONO D'EUROPA – FESTA

Mt 19,27-29

In quel tempo, Pietro disse a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?».

E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».

Dalla «Regola» di san Benedetto, abate

Prima di ogni altra cosa devi chiedere a Dio con insistenti preghiere che egli voglia condurre a termine le opere di bene da te incominciate, perché non debba rattristarsi delle nostre cattive azioni dopo che si è degnato di chiamarci ad essere suoi figli. In cambio dei suoi doni, gli dobbiamo obbedienza continua. Se non faremo così, egli, come padre sdegnato, sarà costretto a diseredare un giorno i suoi figli e, come signore tremendo, irritato per le nostre colpe, condannerà alla pena eterna quei malvagi che non l’hanno voluto seguire alla gloria.

Destiamoci, dunque, una buona volta al richiamo della Scrittura che dice: È tempo ormai di levarci dal sonno (cfr. Rm 13, 11). Apriamo gli occhi alla luce divina, ascoltiamo attentamente la voce ammonitrice che Dio ci rivolge ogni giorno: «Oggi se udite la sua voce non indurite i vostri cuori» (Sal 94, 8). E ancora: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (Ap 2, 7).

E che cosa dice? Venite, figli, ascoltate, vi insegnerò il timore del Signore. Camminate mentre avete la luce della vita, perché non vi sorprendano le tenebre della morte (cfr. Gv 12, 35).

Il Signore cerca nella moltitudine del popolo il suo operaio e dice: C’è qualcuno che desidera la vita e brama trascorrere giorni felici? (cfr. Sal 33, 13). Se tu all’udire queste parole rispondi: Io lo voglio! Iddio ti dice: Se vuoi possedere la vera e perpetua vita, preserva la lingua dal male e le tue labbra non pronunzino menzogna: fuggi il male e fa’ il bene: cerca la pace e seguila (cfr. Sal 33, 14-15). E se farete questo, i miei occhi saranno sopra di voi e le mie orecchie saranno attente alle vostre preghiere: prima ancora che mi invochiate dirò: Eccomi.

Che cosa vi è di più dolce, carissimi fratelli, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, poiché ci ama, ci mostra il cammino della vita. Perciò, cinti i fianchi di fede e della pratica di opere buone, con la guida del vangelo, inoltriamoci nelle sue vie, per meritare di vedere nel suo regno colui che ci ha chiamati. Ma se vogliamo abitare nei padiglioni del suo regno, persuadiamoci che non ci potremo arrivare, se non affrettandoci con le buone opere.

Come vi è uno zelo cattivo e amaro che allontana da Dio e conduce all’inferno, così c’è uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. In questo zelo i monaci devono esercitarsi con amore vivissimo; e perciò si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza le infermità fisiche e morali degli altri, si prestino a gara obbedienza reciproca. Nessuno cerchi il proprio utile, ma piuttosto quello degli altri, amino i fratelli con puro affetto, temano Dio, vogliano bene al proprio abate con sincera e umile carità.

Nulla assolutamente anteponiamo a Cristo e così egli, in compenso, ci condurrà tutti alla vita eterna.

giovedì 10 luglio 2025

GIOVEDÌ DELLA XIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 10,7-15

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:

«Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni.

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento.

In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti.

Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglie e non dà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dei vostri piedi. In verità io vi dico: nel giorno del giudizio la terra di Sòdoma e Gomorra sarà trattata meno duramente di quella città».

Annunciare che Dio è vicino. Ma come farlo? Nel Vangelo Gesù racconta e raccomanda di non dire tante parole, ma di compiere tanti gesti di amore e di speranza nel nome del Signore; non dire tante parole, compiere gesti: «Guarite gli infermi – dice il Signore – risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Ecco il cuore dell’annuncio: la testimonianza gratuita, il servizio. (Papa Francesco – Angelus, 18 giugno 2023)

martedì 8 luglio 2025

MARTEDÌ DELLA XIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 9,32-38

In quel tempo, presentarono a Gesù un muto indemoniato. E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare. E le folle, prese da stupore, dicevano: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!». Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni».

Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».

Quando Gesù percorreva le strade della Galilea annunciando il Regno di Dio e guarendo molti malati, sentiva compassione delle folle, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (cfr Mt 9,35-36). Quello sguardo di Gesù sembra estendersi fino ad oggi, fino al nostro mondo. Anche oggi si posa su tanta gente oppressa da condizioni di vita difficili, ma anche priva di validi punti di riferimento per trovare un senso e una meta all’esistenza. Moltitudini sfinite si trovano nei Paesi più poveri, provate dall’indigenza; e anche nei Paesi più ricchi sono tanti gli uomini e le donne insoddisfatti, addirittura malati di depressione. Pensiamo poi ai numerosi sfollati e rifugiati, a quanti emigrano mettendo a rischio la propria vita. Lo sguardo di Cristo si posa su tutta questa gente, anzi, su ciascuno di questi figli del Padre che è nei cieli, e ripete: “Venite a me, voi tutti…”. […] Il vero rimedio alle ferite dell’umanità, sia quelle materiali, come la fame e le ingiustizie, sia quelle psicologiche e morali causate da un falso benessere, è una regola di vita basata sull’amore fraterno, che ha la sua sorgente nell’amore di Dio. Per questo bisogna abbandonare la via dell’arroganza, della violenza utilizzata per procurarsi posizioni di sempre maggiore potere, per assicurarsi il successo ad ogni costo. […] Ma soprattutto nei rapporti umani, interpersonali, sociali, la regola del rispetto e della non violenza, cioè la forza della verità contro ogni sopruso, è quella che può assicurare un futuro degno dell’uomo. (Benedetto XV - Angelus, 3 luglio 2011)

lunedì 7 luglio 2025

LUNEDÌ DELLA XIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 9,18-26

In quel tempo, [mentre Gesù parlava,] giunse uno dei capi, gli si prostrò dinanzi e disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà». Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli.

Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata». Gesù si voltò, la vide e disse: «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata». E da quell'istante la donna fu salvata.

Arrivato poi nella casa del capo e veduti i flautisti e la folla in agitazione, Gesù disse: «Andate via! La fanciulla infatti non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma dopo che la folla fu cacciata via, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E questa notizia si diffuse in tutta quella regione.

Si tratta di due racconti ad incastro, con un unico centro: la fede; e mostrano Gesù come sorgente di vita, come Colui che ridona la vita a chi si fida pienamente di Lui. I due protagonisti, cioè il padre della fanciulla e la donna malata, non sono discepoli di Gesù eppure vengono esauditi per la loro fede. Hanno fede in quell’uomo. Da questo comprendiamo che sulla strada del Signore sono ammessi tutti: nessuno deve sentirsi un intruso, un abusivo o un non avente diritto. Per avere accesso al suo cuore, al cuore di Gesù, c’è un solo requisito: sentirsi bisognosi di guarigione e affidarsi a Lui. (Papa Francesco - Angelus, 1° luglio 2018)

sabato 5 luglio 2025

SABATO DELLA XIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 9,14-17

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».

E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno.

Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo diventa peggiore. Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l'uno e gli altri si conservano».

Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo

Se vi è qualcuno schiavo del peccato, si disponga per mezzo della fede a rinascere libero nell’adozione filiale. E dopo aver abbandonato la pessima schiavitù dei peccati e aver conseguita la beata schiavitù del Signore, sia stimato meritevole di ottenere l’eredità del regno celeste. Per mezzo della conversione spogliatevi dell’uomo vecchio che si corrompe dietro i desideri ingannatori, per rivestire l’uomo nuovo che si rinnova conforme alla conoscenza di colui che lo ha creato. Acquistate attraverso la fede il pegno dello Spirito Santo, perché possiate essere accolti nelle dimore eterne. Accostatevi al mistico contrassegno, perché vi si possa distinguere bene fra tutti. Siate annoverati nel gregge di Cristo, santo e ben ordinato, così che posti un giorno alla sua destra possiate ottenere la vita preparata come vostra eredità.

Quelli infatti ai quali rimane ancora attaccata, come fosse una pelle, la ruvidezza dei peccati, prendono posto alla sinistra, per il fatto che non si sono accostati alla grazia di Dio, che viene concessa, per Cristo, nel lavacro di rigenerazione. Certamente non parlo della rigenerazione dei corpi, ma della rinnovata nascita dell’anima. I corpi infatti sono generati per mezzo dei genitori visibili, le anime invece vengono rigenerate attraverso la fede, e infatti: «Lo Spirito soffia dove vuole». Allora, se ne risulterai degno, potrai sentirti dire: «Bene, servo buono e fedele» (Mt 25, 23), sempre che tu sia trovato esente nella coscienza da ogni impurità e simulazione.

Se dunque qualcuno dei presenti pensa di tentare la grazia di Dio, si inganna da se stesso, e ignora il valore delle cose. Procurati, o uomo, un’anima sincera e priva di inganno, per colui che scruta mente e cuore.

Il tempo presente è tempo di conversione. Confessa ciò che hai commesso sia con la parola che con l’azione, sia di notte che di giorno. Convèrtiti nel tempo favorevole, e nel giorno della salvezza accogli il tesoro celeste.

Ripulisci la tua anfora, perché accolga la grazia in misura più abbondante; infatti la remissione dei peccati viene data a tutti egualmente, invece la partecipazione dello Spirito Santo viene concessa in proporzione della fede di ciascuno. Se hai lavorato poco, riceverai poco, se invece avrai fatto molto, molta sarà la mercede. Quanto fai, lo fai per il tuo bene. È nel tuo interesse considerare e fare ciò che ti conviene.

Se hai qualcosa contro qualcuno, perdona. Se ti accosti per ricevere il perdono dei peccati, è necessario che anche tu perdoni a chi ha peccato.

venerdì 4 luglio 2025

VENERDÌ DELLA XIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 9,9-13

In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.

Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».

Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: "Misericordia io voglio e non sacrifici". Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

"Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti" (Os 6,6). Si tratta di una parola chiave, una di quelle che ci introducono nel cuore della Sacra Scrittura. Il contesto, in cui Gesù la fa propria, è la vocazione di Matteo, di professione "pubblicano", vale a dire esattore delle tasse per conto dell’autorità imperiale romana: per ciò stesso, egli veniva considerato dai Giudei un pubblico peccatore. Chiamatolo proprio mentre era seduto al banco delle imposte – illustra bene questa scena un celeberrimo dipinto del Caravaggio –, Gesù si recò a casa di lui con i discepoli e si pose a mensa insieme con altri pubblicani. Ai farisei scandalizzati rispose: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati… Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mt 9,12-13). L’evangelista Matteo, sempre attento al legame tra l’Antico e il Nuovo Testamento, a questo punto pone sulle labbra di Gesù la profezia di Osea: "Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio". (…) Questa parola di Dio è giunta a noi, attraverso i Vangeli, come una delle sintesi di tutto il messaggio cristiano: la vera religione consiste nell’amore di Dio e del prossimo. Ecco ciò che dà valore al culto e alla pratica dei precetti. (Benedetto XVI - Angelus, domenica, 8 giugno 2008)

giovedì 3 luglio 2025

SAN TOMMASO, APOSTOLO – FESTA

Gv 20,24-29

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa

«Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù» (Gv 20, 24). Questo solo discepolo era assente. Quando ritornò udì il racconto dei fatti accaduti, ma rifiutò di credere a quello che aveva sentito. Venne ancora il Signore e al discepolo incredulo offrì il costato da toccare, mostrò le mani e, indicando la cicatrice delle sue ferite, guarì quella della sua incredulità.

Che cosa, fratelli, intravvedete in tutto questo? Attribuite forse a un puro caso che quel discepolo scelto dal Signore sia stato assente, e venendo poi abbia udito il fatto, e udendo abbia dubitato, e dubitando abbia toccato, e toccando abbia creduto?

No, questo non avvenne a caso, ma per divina disposizione. La clemenza del Signore ha agito in modo meraviglioso, poiché quel discepolo, con i suoi dubbi, mentre nel suo maestro toccava le ferite del corpo, guariva in noi le ferite dell’incredulità. L’incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto più, riguardo alla fede, che non la fede degli altri discepoli. Mentre infatti quello viene ricondotto alla fede col toccare, la nostra mente viene consolidata nella fede con il superamento di ogni dubbio. Così il discepolo, che ha dubitato e toccato, è divenuto testimone della verità della risurrezione.

Toccò ed esclamò: «Mio Signore e mio Dio!».

Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto» (Gv 20, 28-29). Siccome l’apostolo Paolo dice: «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono», è chiaro che la fede è prova di quelle cose che non si possono vedere. Le cose che si vedono non richiedono più la fede, ma sono oggetto di conoscenza. Ma se Tommaso vide e toccò, come mai gli vien detto: «Perché mi hai veduto, hai creduto»? Altro però fu ciò che vide e altro ciò in cui credette. La divinità infatti non può essere vista da uomo mortale. Vide dunque un uomo e riconobbe Dio, dicendo: «Mio Signore e mio Dio!». Credette pertanto vedendo. Vide un vero uomo e disse che era quel Dio che non poteva vedere.

Ci reca grande gioia quello che segue: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20, 28). Con queste parole senza dubbio veniamo indicati specialmente noi, che crediamo in colui che non abbiamo veduto con i nostri sensi. Siamo stati designati noi, se però alla nostra fede facciamo seguire le opere. Crede infatti davvero colui che mette in pratica con la vita la verità in cui crede. Dice invece san Paolo di coloro che hanno la fede soltanto a parole: «Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti» (Tt 1, 16). E Giacomo scrive: «La fede senza le opere è morta» (Gc 2, 26).

mercoledì 2 luglio 2025

MERCOLEDÌ DELLA XIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 8,28-34

In quel tempo, giunto Gesù all’altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli andarono incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva passare per quella strada. Ed ecco, si misero a gridare: «Che vuoi da noi, Figlio di Dio? Sei venuto qui a tormentarci prima del tempo?».

A qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci al pascolo; e i demòni lo scongiuravano dicendo: «Se ci scacci, mandaci nella mandria dei porci». Egli disse loro: «Andate!». Ed essi uscirono, ed entrarono nei porci: ed ecco, tutta la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare e morirono nelle acque.

I mandriani allora fuggirono e, entrati in città, raccontarono ogni cosa e anche il fatto degli indemoniati. Tutta la città allora uscì incontro a Gesù: quando lo videro, lo pregarono di allontanarsi dal loro territorio.

“Ci sono alcuni preti che quando leggono questo brano del Vangelo, questo e altri, dicono: ‘Ma, Gesù ha guarito una persona da una malattia psichica’. Non leggono questo qui, no? E’ vero che in quel tempo si poteva confondere un’epilessia con la possessione del demonio; ma è anche vero che c’era il demonio! E noi non abbiamo diritto di fare tanto semplice la cosa, come per dire: ‘Tutti questi non erano indemoniati; erano malati psichici’. No! La presenza del demonio è nella prima pagina della Bibbia e la Bibbia finisce anche con la presenza del demonio, con la vittoria di Dio sul demonio”. (Papa Francesco - Omelia Santa Marta, 11 ottobre 2013)

martedì 1 luglio 2025

MARTEDÌ DELLA XIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 8,23-27

In quel tempo, salito Gesù sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva.

Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.

Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».

«Quando viene sul mare un grande sconvolgimento, la barca era coperta dalle onde, “Salvaci Signore! siamo perduti”, dicono loro. La paura, anche quella, è una tentazione del demonio. Avere paura di andare avanti sulla strada del Signore». Guardare il Signore, contemplare il Signore, e questo ci dà questo stupore tanto bello di un nuovo incontro col Signore. “Signore io ho questa tentazione, voglio rimanere in questa situazione di peccato. Signore io ho la curiosità di conoscere come sono queste cose. Signore io ho paura...”, ma poi loro hanno guardato il Signore: “Salvaci Signore siamo perduti”. Ed è venuto lo stupore del nuovo incontro con Gesù. Non siamo ingenui, né cristiani tiepidi: siamo valorosi, coraggiosi. Sì, noi siamo deboli, ma dobbiamo essere coraggiosi nella nostra debolezza. E il nostro coraggio, tante volte, deve esprimersi in una fuga. Non guardare indietro, per non cadere nella cattiva nostalgia, ma non avere paura e sempre guardare al Signore. (Papa Francesco - Omelia Santa Marta, 2 luglio 2013)