mercoledì 29 ottobre 2025

MERCOLEDÌ DELLA XXX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 13,22-30

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».

Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.

Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.

Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa

Rivestiamoci di pace, di umiltà, di castità. Teniamoci lontani da ogni mormorazione e maldicenza, e pratichiamo la giustizia non a parole, ma nelle opere. È scritto infatti: Chi parla molto, sappia anche ascoltare, e il loquace non creda di salvarsi per le sue molte parole (cfr. Gb 11, 2).

Bisogna dunque che ci mettiamo di buon animo a fare il bene, poiché tutto ci è dato dal Signore. Egli ci avverte in precedenza: Ecco il Signore, e la sua ricompensa è con lui, per rendere a ciascuno secondo le sue opere (cfr. Ap 22, 12). Perciò ci esorta a credere in lui con tutto il cuore e a non essere pigri, ma dediti ad ogni opera buona.

Lui sia la nostra gloria e in lui riposi la nostra fiducia. Stiamo soggetti alla sua volontà e consideriamo come tutta la moltitudine degli angeli stia alla sua presenza, a servizio della sua volontà. Dice infatti la Scrittura: «Mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano» e «Proclamavano l’uno all’altro: Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la creazione è piena della sua gloria» (Dn 7, 10; Is 6, 3). Anche noi dunque uniamoci nello stesso luogo nella concordia dei sentimenti, e gridiamo continuamente a lui come con una sola bocca, per essere partecipi delle sue grandi e gloriose promesse.

È detto infatti: Occhio mai non vide, né orecchio udì né mai entrarono in cuore d’uomo quelle cose che Dio ha preparato per coloro che lo aspettano (cfr. 1 Cor 2, 9).

Come sono pieni di beatitudine e ammirabili i doni del Signore! La vita nell’immortalità, lo splendore nella giustizia, la verità nella franchezza, la fede nella confidenza, la padronanza di sé nella santità: tutto questo è stato messo alla portata delle nostre capacità. Quali saranno allora i beni che vengono preparati per coloro che lo aspettano? Solo il creatore e padre dei secoli, il santissimo ne conosce la quantità e la bellezza.

Noi dunque, per aver parte ai doni promessi, facciamo di tutto per trovarci nel numero di coloro che aspettano il Signore. E a quali condizioni potrà avvenire questo, o miei cari? Avverrà se il nostro cuore sarà saldo in Dio con la fede, se cercheremo con diligenza ciò che è gradito e accetto a lui, se compiremo ciò che è conforme alla sua santa volontà, se seguiremo la via della verità, rigettando da noi ogni forma di ingiustizia.

martedì 28 ottobre 2025

SANTI SIMONE E GIUDA, APOSTOLI - FESTA

Lc 6,12-19

In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.

Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo

Nostro Signore Gesù Cristo stabilì le guide, i maestri del mondo e i dispensatori dei suoi divini misteri. Volle inoltre che essi risplendessero come luminari e rischiarassero non soltanto il paese dei Giudei, ma anche tutti gli altri che si trovano sotto il sole e tutti gli uomini che popolano la terra. È verace perciò colui che afferma: «Nessuno può attribuirsi questo onore, se non chi è chiamato da Dio» (Eb 5, 4). Nostro Signore Gesù Cristo ha rivestito gli apostoli di una grande dignità a preferenza di tutti gli altri discepoli.

I suoi apostoli furono le colonne e il fondamento della verità. Cristo afferma di aver dato loro la stessa missione che ebbe dal Padre. Mostrò così la grandezza dell'apostolato e la gloria incomparabile del loro ufficio, ma con ciò fece comprendere anche qual è la funzione del ministero apostolico.

Egli dunque pensava di dover mandare i suoi apostoli allo stesso modo con cui il Padre aveva mandato lui. Perciò era necessario che lo imitassero perfettamente e per questo conoscessero esattamente il mandato affidato al Figlio dal Padre. Ecco perché spiega molte volte la natura della sua missione. Una volta dice: Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla conversione (cfr. Mt 9, 13). Un'altra volta afferma: «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6, 38). Infatti «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3, 17).

Riassumendo perciò in poche parole le norme dell'apostolato, dice di averli mandati come egli stesso fu mandato dal Padre, perché da ciò imparassero che il loro preciso compito era quello di chiamare i peccatori a penitenza, di guarire i malati sia di corpo che di spirito, di non cercare nell'amministrazione dei beni di Dio la propria volontà, ma quella di colui da cui sono stati inviati e di salvare il mondo con il suo genuino insegnamento.

Fino a qual punto gli apostoli si siano sforzati di segnalarsi in tutto ciò, non sarà difficile conoscerlo se si leggeranno anche solo gli Atti degli Apostoli e gli scritti di san Paolo.

lunedì 27 ottobre 2025

LUNEDÌ DELLA XXX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 13,10-17

In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.

Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.

Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».

Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».

Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

L’ipocrisia è il pericolo più grave, perché può rovinare anche le realtà più sacre. […] Per accogliere Dio non importa la bravura, ma l’umiltà. Questa è la strada per accogliere Dio, non la bravura: “siamo forti, siamo un popolo grande…”, no, l’umiltà: “sono un peccatore”; ma non in astratto, no, “per questo, questo, questo”, ognuno di noi deve confessare, prima di tutto a sé stesso, i propri peccati, le proprie mancanze, le proprie ipocrisie; bisogna scendere dal piedistallo e immergersi nell’acqua del pentimento.[…] Dimentichiamo che soltanto in un caso è lecito guardare un altro dall’alto in basso: quando è necessario aiutarlo a sollevarsi; […] Così comincia una vita nuova. E la via è una sola, quella dell’umiltà: purificarci dal senso di superiorità, dal formalismo e dall’ipocrisia, per vedere negli altri dei fratelli e delle sorelle, dei peccatori come noi, e in Gesù vedere il Salvatore che viene per noi – non per gli altri, per noi – così come siamo, con le nostre povertà, con le nostre miserie e difetti, soprattutto con il bisogno di essere rialzati, perdonati e salvati. (Papa Francesco - Angelus, 4 dicembre 2022)

domenica 26 ottobre 2025

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:

«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.

Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Il Vangelo della Liturgia odierna ci presenta una parabola che ha due protagonisti, un fariseo e un pubblicano (cfr Lc 18,9-14), cioè un uomo religioso e un peccatore conclamato. Entrambi salgono al tempio a pregare, ma soltanto il pubblicano si eleva veramente a Dio, perché con umiltà scende nella verità di sé stesso e si presenta così com’è, senza maschere, con le sue povertà (...)

Nell’umiltà, infatti, diventiamo capaci di portare a Dio, senza finzioni, ciò che realmente siamo, i limiti e le ferite, i peccati, le miserie che ci appesantiscono il cuore, e di invocare la sua misericordia perché ci risani, ci guarisca, ci rialzi. Sarà Lui a rialzarci, non noi. Più noi scendiamo con umiltà, più Dio ci fa salire in alto. (...)

Fratelli, sorelle, il fariseo e il pubblicano ci riguardano da vicino. Pensando a loro, guardiamo a noi stessi: verifichiamo se in noi, come nel fariseo, c’è «l’intima presunzione di essere giusti» (v. 9) che ci porta a disprezzare gli altri. (...)

Dove c’è troppo io, c’è poco Dio.(...)

Chiediamo l’intercessione di Maria Santissima, l’umile serva del Signore, immagine vivente di ciò che il Signore ama compiere, rovesciando i potenti dai troni e innalzando gli umili (cfr Lc 1,52). (Papa Francesco, Angelus, 23 ottobre 2022)

sabato 25 ottobre 2025

SABATO DELLA XXIX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 13,1-9

In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

La conclusione del brano evangelico riprende la prospettiva della misericordia, mostrando la necessità e l’urgenza del ritorno a Dio, di rinnovare la vita secondo Dio. Riferendosi ad un uso del suo tempo, Gesù presenta la parabola di un fico piantato in una vigna; questo fico, però, risulta sterile, non dà frutti (cfr Lc 13,6-9). Il dialogo che si sviluppa tra il padrone e il vignaiolo, manifesta, da una parte, la misericordia di Dio, che ha pazienza e lascia all’uomo, a tutti noi, un tempo per la conversione; e, dall’altra, la necessità di avviare subito il cambiamento interiore ed esteriore della vita per non perdere le occasioni che la misericordia di Dio ci offre per superare la nostra pigrizia spirituale e corrispondere all’amore di Dio con il nostro amore filiale. (Papa Benedetto XVI, Omelia 7 marzo 2010)

venerdì 24 ottobre 2025

VENERDÌ DELLA XXIX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 12,54-59

In quel tempo, Gesù diceva alle folle:

«Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?

Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».

Conoscere i segni dei tempi. I tempi cambiano, ed è proprio della saggezza cristiana conoscere questi cambiamenti, conoscere i diversi tempi e conoscere i segni dei tempi. Cosa significa una cosa e cosa un’altra. E fare questo senza paura, con la libertà.

Questo è un lavoro che di solito noi non facciamo: ci conformiamo, ci tranquillizziamo con “mi hanno detto; ho sentito; la gente dice; ho letto...”. E così siamo tranquilli. Ma è quella la verità, è quello il messaggio che il Signore vuole darmi con quel segno dei tempi?

Per capire i segni dei tempi prima di tutto è necessario il silenzio: fare silenzio e guardare. E dopo riflettere dentro di noi. Un esempio: perché ci sono tante guerre adesso? Perché è successo qualcosa? E pregare: silenzio, riflessione e preghiera. Soltanto così potremo capire i segni dei tempi, cosa Gesù vuol dirci. I tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente. Dobbiamo cambiare saldi nella fede in Gesù Cristo, saldi nella verità del Vangelo, ma il nostro atteggiamento deve muoversi continuamente secondo i segni dei tempi. (Papa Francesco, Omelia Santa Marta 23 ottobre 2015)

giovedì 23 ottobre 2025

GIOVEDÌ DELLA XXIX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 12,49-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

La Parola di Dio (…)contiene (…) una parola di Gesù che ci mette in crisi, e che va spiegata, perché altrimenti può generare malintesi. Gesù dice ai discepoli: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione» (Lc 12,51). Che cosa significa questo? (…) Non che Gesù voglia dividere gli uomini tra loro, al contrario: Gesù è la nostra pace, è la nostra riconciliazione! Ma questa pace non è la pace dei sepolcri, non è neutralità, Gesù non porta neutralità, questa pace non è un compromesso a tutti i costi. Seguire Gesù comporta rinunciare al male, all’egoismo e scegliere il bene, la verità, la giustizia, anche quando ciò richiede sacrificio e rinuncia ai propri interessi. E questo sì, divide; lo sappiamo, divide anche i legami più stretti. Ma attenzione: non è Gesù che divide! Lui pone il criterio: vivere per se stessi, o vivere per Dio e per gli altri; farsi servire, o servire; obbedire al proprio io, o obbedire a Dio. Ecco in che senso Gesù è «segno di contraddizione» (Lc 2,34). Dunque, questa parola del Vangelo non autorizza affatto l’uso della forza per diffondere la fede. È proprio il contrario: la vera forza del cristiano è la forza della verità e dell’amore, che comporta rinunciare ad ogni violenza. Fede e violenza sono incompatibili! Fede e violenza sono incompatibili! Invece fede e fortezza vanno insieme. Il cristiano non è violento, ma è forte. E con che fortezza? Quella della mitezza, la forza della mitezza, la forza dell’amore. (Papa Francesco, Angelus 18 agosto 2013)

martedì 21 ottobre 2025

MARTEDÌ DELLA XXIX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 12,35-38

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.

Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.

E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».

Il Signore ci ricorda che la vita è un cammino verso l’eternità; pertanto, siamo chiamati a far fruttificare tutti i talenti che abbiamo, senza mai dimenticare che «non abbiamo qui la città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura» (Eb 13,14). (…) Noi non possiamo capire davvero in cosa consista questa gioia suprema, tuttavia Gesù ce lo fa intuire con la similitudine del padrone che trovando ancora svegli i servi al suo ritorno: «si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (v. 37). La gioia eterna del paradiso si manifesta così: la situazione si capovolgerà, e non saranno più i servi, cioè noi, a servire Dio, ma Dio stesso si metterà a nostro servizio. E questo lo fa Gesù fin da adesso: Gesù prega per noi, Gesù ci guarda e prega il Padre per noi, Gesù ci serve adesso, è il nostro servitore. E questa sarà la gioia definitiva. Il pensiero dell’incontro finale con il Padre, ricco di misericordia, ci riempie di speranza, e ci stimola all’impegno costante per la nostra santificazione e per costruire un mondo più giusto e fraterno. La Vergine Maria, con la sua materna intercessione, sostenga questo nostro impegno. (Papa Francesco, Angelus, 11 agosto 2019)

domenica 19 ottobre 2025

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:

«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.

Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».

E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Dalla «Lettera a Proba» di sant’Agostino, vescovo

Quando preghiamo non dobbiamo mai perderci in tante considerazioni, cercando di sapere che cosa dobbiamo chiedere e temendo di non riuscire a pregare come si conviene. Perché non diciamo piuttosto col salmista: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore e ammirare il suo santuario»? (Sal 26, 4). Ivi infatti non c’è successione di giorni come se ogni giorno dovesse arrivare e poi passare. L’inizio dell’uno non segna la fine dell’altro, perché vi si trovano presenti tutti contemporaneamente. La vita, alla quale quei giorni appartengono, non conosce tramonto.

Per conseguire questa vita beata, la stessa vera Vita in persona ci ha insegnato a pregare, non con molte parole, come se fossimo tanto più facilmente esauditi, quanto più siamo prolissi. Nella preghiera infatti ci rivolgiamo a colui che, come dice il Signore medesimo, già sa quello che ci è necessario, prima ancora che glielo chiediamo (cfr. Mt 6, 7-8).

Potrebbe sembrare strano che Dio ci comandi di fargli delle richieste quando egli conosce, prima ancora che glielo domandiamo, quello che ci è necessario. Dobbiamo però riflettere che a lui non importa tanto la manifestazione del nostro desiderio, cosa che egli conosce molto bene, ma piuttosto che questo desiderio si ravvivi in noi mediante la domanda perché possiamo ottenere ciò che egli è già disposto a concederci. Questo dono, infatti, è assai grande, mentre noi siamo tanto piccoli e limitati per accoglierlo. Perciò ci vien detto: «Aprite anche voi il vostro cuore! Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli» (2 Cor 6, 13-14).

Il dono è davvero grande, tanto che né occhio mai vide, perché non è colore; né orecchio mai udì, perché non è suono; né mai è entrato in cuore d’uomo (cfr. 1 Cor 2, 9), perché è là che il cuore dell’uomo deve entrare. Lo riceveremo con tanta maggiore capacità, quanto più salda sarà la nostra fede, più ferma la nostra speranza, più ardente il nostro desiderio.

Noi dunque preghiamo sempre in questa stessa fede, speranza e carità, con desiderio ininterrotto.

Ma in certe ore e in determinate circostanze, ci rivolgiamo a Dio anche con le parole, perché, mediante questi segni, possiamo stimolare noi stessi e insieme renderci conto di quanto abbiamo progredito nelle sante aspirazioni, spronandoci con maggiore ardore a intensificarle. Quanto più vivo, infatti, sarà il desiderio, tanto più ricco sarà l’effetto. E perciò, che altro vogliono dire le parole dell’Apostolo: «Pregate incessantemente» (1 Ts 5, 17) se non questo: Desiderate, senza stancarvi, da colui che solo può concederla quella vita beata, che niente varrebbe se non fosse eterna?

sabato 18 ottobre 2025

SAN LUCA, EVANGELISTA – FESTA

Lc 10,1-9

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.

Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.

In qualunque casa entriate, prima dite: "Pace a questa casa!". Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra.

Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: "È vicino a voi il regno di Dio"».

Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa

Il nostro Signore e Salvatore, fratelli carissimi, ci ammonisce ora con la parola, ora con i fatti. A dire il vero, anche le sue azioni hanno valore di comando, perché mentre silenziosamente compie qualcosa ci fa conoscere quello che dobbiamo fare. Ecco che egli manda a due a due i discepoli a predicare, perché sono due i precetti della carità: l’amore di Dio, cioè, e l’amore del prossimo.

Il Signore manda i discepoli a due a due a predicare per indicarci tacitamente che non deve assolutamente assumersi il compito di predicare chi non ha la carità verso gli altri.

Giustamente poi è detto che «li inviò avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (Lc 10, 1). Il Signore infatti segue i suoi predicatori, perché la predicazione giunge prima, e solo allora il Signore viene ad abitare nella nostra anima, quando lo hanno preceduto le parole dell’annunzio, attraverso le quali la verità è accolta nella mente. Per questo dice Isaia ai medesimi predicatori: «Preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio» (Is 40, 3). E il salmista dice loro: «Spianate la strada a chi sale sul tramonto» (Sal 67, 5 volg.). Il Signore salì «sul tramonto» che fu la sua morte.

Effettivamente il Signore salì «sul tramonto» in quanto la sua morte gli servì come alto piedistallo per manifestare maggiormente la sua gloria mediante la risurrezione. Salì «sul tramonto» perché risorgendo calpestò la morte che aveva affrontato.

Noi dunque spianiamo la strada a colui che sale «sul tramonto» quando predichiamo alle vostre menti la sua gloria; perché, venendo poi egli stesso, le illumini con la presenza del suo amore.

Ascoltiamo quello che dice nell’inviare i predicatori: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe» (Mt 9, 37-38). Per una grande messe gli operai sono pochi. Di questa scarsità non possiamo parlare senza profonda tristezza, poiché vi sono persone che ascolterebbero la buona parola, ma mancano i predicatori. Ecco, il mondo è pieno di sacerdoti, e tuttavia si trova assai di rado chi lavora nella messe del Signore. Ci siamo assunti l’ufficio sacerdotale, ma non compiamo le opere che l’ufficio comporta.

Perciò riflettete attentamente, fratelli carissimi, sulla parola del Signore: «Pregate il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe». Pregate voi per noi, perché siamo in grado di operare per voi come si conviene; perché la lingua non resti inattiva dall’esortare, e il nostro silenzio non condanni, presso il giusto giudice, noi, che abbiamo assunto l’ufficio di predicatori.

venerdì 17 ottobre 2025

SANT'IGNAZIO DI ANTIOCHIA, VESCOVO E MARTIRE – MEMORIA

Lc 12,1-7

In quel tempo, si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli:

«Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze.

Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui.

Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!».

Dalla «Lettera ai Romani» di sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

Scrivo a tutte le chiese, e a tutti annunzio che morrò volentieri per Dio, se voi non me lo impedirete. Vi scongiuro, non dimostratemi una benevolenza inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi sia dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio, e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore.

A nulla mi gioveranno i godimenti del mondo né i regni di questa terra. È meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra. Io cerco colui che è morto per noi, voglio colui che per noi è risorto. È vicino il momento della mia nascita.

Abbiate compassione di me, fratelli. Non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo e alle seduzioni della materia chi vuol essere di Dio. Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo. Lasciate che io imiti la passione del mio Dio. Se qualcuno lo ha in sé, comprenda quello che io voglio e mi compatisca, pensando all’angoscia che mi opprime.

Il principe di questo mondo vuole portarmi via e soffocare la mia aspirazione verso Dio. Nessuno di voi gli dia mano; state piuttosto dalla mia parte, cioè da quella di Dio. Non siate di quelli che professano Gesù Cristo e ancora amano il mondo. Non trovino posto in voi sentimenti meno buoni. Anche se vi supplicassi, quando sarò tra voi, non datemi ascolto: credete piuttosto a quanto vi scrivo ora nel pieno possesso della mia vita. Vi scrivo che desidero morire.

Ogni mio desiderio terreno è crocifisso e non c’è più in me nessun’aspirazione per le realtà materiali, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: «Vieni al Padre». Non mi diletto più di un cibo corruttibile, né dei piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David; voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile.

Non voglio più vivere la vita di quaggiù. E il mio desiderio si realizzerà, se voi lo vorrete. Vogliatelo, vi prego, per trovare anche voi benevolenza. Ve lo domando con poche parole: credetemi. Gesù Cristo vi farà comprendere che dico il vero: egli è la bocca verace per mezzo della quale il Padre ha parlato in verità. Chiedete per me che io possa raggiungerlo. Non vi scrivo secondo la carne, ma secondo il pensiero di Dio. Se subirò il martirio, ciò significherà che mi avete voluto bene. Se sarò rimesso in libertà, sarà segno che mi avete odiato.

giovedì 16 ottobre 2025

GIOVEDÌ DELLA XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 11,47-54

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.

Per questo la sapienza di Dio ha detto: "Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno", perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l'altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione.

Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l'avete impedito».

Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.

Nelle ideologie non c’è Gesù: la sua tenerezza, amore, mitezza. E le ideologie sono rigide, sempre. Di ogni segno: rigide. E quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede: non è più discepolo di Gesù, è discepolo di questo atteggiamento di pensiero, di questo... E per questo Gesù dice loro: ‘Voi avete portato via la chiave della conoscenza’. La conoscenza di Gesù è trasformata in una conoscenza ideologica e anche moralistica, perché questi chiudevano la porta con tante prescrizioni”. (…) E quando un profeta o un buon cristiano li rimprovera, fanno lo stesso che hanno fatto con Gesù: ‘Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile – questi ideologici sono ostili – e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie – sono insidiosi – per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca’. Chiediamo al Signore la grazia, primo: non smettere di pregare, per non perdere la fede, rimanere umili. E così non diventeremo chiusi, che chiudono la strada al Signore”. (Papa Francesco – Omelia Santa Marta, 17 ottobre 2013)

mercoledì 15 ottobre 2025

SANTA TERESA DI GESÙ, VERGINE E DOTTORE DELLA CHIESA – MEMORIA

Lc 11,42-46

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo».

Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».

Nel brano odierno, Egli rimprovera gli scribi e i farisei, che avevano nella comunità un ruolo di maestri, perché la loro condotta era apertamente in contrasto con l’insegnamento che proponevano agli altri con rigore. Gesù sottolinea che costoro «dicono e non fanno» (Mt 23,3); anzi, «legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4). La buona dottrina va accolta, ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente. Per questo Gesù dice: «Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere» (Mt 23,3). L’atteggiamento di Gesù è esattamente l’opposto: Egli pratica per primo il comandamento dell’amore, che insegna a tutti, e può dire che esso è un peso leggero e soave proprio perché ci aiuta a portarlo insieme con Lui. (Papa Benedetto XVI – Angelus, 30 ottobre 2011)

martedì 14 ottobre 2025

MARTEDÌ DELLA XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 11,37-41

In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo.

Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro».

Non sono parole belle, eh? Gesù parlava chiaro, non era ipocrita. Parlava chiaro: “Voi siete sepolcri imbiancati”. Bel complimento, eh?. Gesù distingue le apparenze dalla realtà interna. Questi signori sono i “dottori delle apparenze”: sempre perfetti, sempre... Ma dentro cosa c’è? (…) E stiamo attenti con noi stessi, perché questo ci deve portare a pensare nella nostra vita. Io cerco di guardare le apparenze soltanto? E non cambio il mio cuore? Non apro il mio cuore alla preghiera, alla libertà della preghiera, alla libertà dell’elemosina, alla libertà delle opere di misericordia? (Papa Francesco - Omelia Santa Marta, 16 ottobre 2018)

lunedì 13 ottobre 2025

LUNEDÌ DELLA XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 11,29-32

In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire:

«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione.

Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».

Perché questi dottori della legge non capivano i segni del tempo? E chiedevano un segnale straordinario? Gesù glielo ha dato. Perché non capivano? Prima di tutto perché erano chiusi. Erano chiusi nel loro sistema, avevano sistemato la Legge benissimo. Un capolavoro. Tutti gli ebrei sapevano che cosa si poteva fare e che cosa non si poteva fare, era tutto sistemato. E loro erano sicuri lì. Loro non capivano che Dio è il Dio delle sorprese. Che Dio è sempre nuovo. Mai rinnega sé stesso, ma ci sorprende sempre. E loro non capivano e si chiudevano in quel sistema, fatto con tanta buona volontà, e chiedevano a Gesù: “Ma dacci un segno!”, e non capivano i tanti segni che faceva Gesù e che indicavano che il tempo era maturo. Chiusura. Secondo, avevano dimenticato che loro erano un popolo in cammino. E quando uno è in cammino, sempre trova cose nuove: io sono attaccato alle mie cose, alle mie idee, sono chiuso o sono aperto al Dio delle sorprese? Sono una persona ferma o una persona che cammina? Io credo in Gesù Cristo, in Gesù, quello che ha fatto, è morto, è risorto, ed è finita la storia, o credo che il cammino va avanti, verso la manifestazione di gloria del Signore? Io sono capace di capire i segni dei tempi? Queste domande possiamo porcele oggi e chiedere al Signore un cuore che ami la Legge, perché è la Legge di Dio, che ami anche le sorprese di Dio, e che sappia che questa Legge santa non è fine a se stessa. (Papa Francesco - Omelia Santa Marta, 13 ottobre 2014)

domenica 12 ottobre 2025

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Lc 17,11-19

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.

Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.

Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.

Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

“Gli vennero incontro dei lebbrosi” (Lc 17, 12). In un altro passo del Vangelo è detto che Gesù, toccò” (Lc 5, 13) il lebbroso presentatosi a lui. Gesù si lascia dunque incontrare, egli si è fatto nostro prossimo per essere incontrato da noi proprio sulla soglia più tragica e pesante della sofferenza. Dalla croce egli ci insegna a cercare nel malato lo stesso suo volto, ad avvicinare chi soffre proprio là dove questi sperimenta la sua indigenza. […] L’esempio di Cristo ci deve incoraggiare a persistere nell’impegno nei confronti di quelle situazioni sociali che risultano tuttora insensibili o impotenti di fronte al dramma della lebbra. Non ci si deve arrendere, se gli sforzi appaiono talvolta privi di risultato o se ci si trova di fronte ad ambienti nei quali il terrore del male ispira misure di difesa disumane, frutto di avversioni istintive e irrazionali verso il malato. Dobbiamo continuare ad operare perché proprio questi ambienti, che sembrano più refrattari, si aprano anch’essi alla speranza. Accogliamo il grido rivolto a Gesù dagli stessi lebbrosi: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi” (Lc 17, 13). […] Il Signore ha affidato alle nostre mani tante opere di carità, affinché mediante esse divenissimo corresponsabili del suo disegno di salvezza. (San Giovanni Paolo II – Omelia nella Santa Messa per le Associazioni internazionali "Amici dei Lebbrosi", 21 settembre 1986)

sabato 11 ottobre 2025

SAN GIOVANNI XXIII, PAPA

Lc 11,27-28

In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!».

Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».

“Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!” (Lc 11, 27). Così ha gridato “una donna di mezzo alla folla”, desiderando manifestare la sua ammirazione per tutto ciò che Gesù faceva e insegnava. Nelle parole della donna l’ammirazione per il Figlio si trasferisce sulla Madre. La donna è consapevole, in modo particolare, che essere uomo, essere “figlio dell’uomo” (come Gesù soleva dire di se stesso), vuol dire essere nato da donna, essere nato da una madre. […] Questa “donna di mezzo alla folla” forse non sa che, pronunciando quelle parole, dà perfino compimento all’annunzio profetico di Maria, nel “Magnificat”: “D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Lc 1, 48). La “donna di mezzo alla folla”, il cui grido è stato fissato nel Vangelo di Luca, appartiene alla prima generazione di coloro che hanno chiamato “beata” la Madre del Redentore. […] È significativo che a questo grido di “una donna di mezzo alla folla”, Gesù risponda: “Beati, piuttosto, coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11, 28). Ha voluto forse distrarre così l’attenzione dalla sua Madre terrena? Apparentemente forse sì. Ma, nella sostanza, il Figlio di Maria ha spiegato nella sua risposta ancor più chiaramente perché lei è beata. Perché è beata la sua umana maternità. Infatti la frase su “coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano”, si riferisce per eccellenza a lei, a Maria. La sua stessa maternità non è forse proprio il frutto del suo “ascoltare” la parola di Dio? Non è il frutto del suo perfetto “acconsentire” ad essa? (San Giovanni Paolo II – Omelia nella Santa Messa per gli Universitari di Roma, 16 dicembre 1987)

venerdì 10 ottobre 2025

VENERDÌ DELLA XXVII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 11,15-26

In quel tempo, [dopo che Gesù ebbe scacciato un demonio,] alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo.

Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche Satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.

Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino.

Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde.

Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima».

Una delle virtù più utili da praticare è quella della vigilanza. State attenti... Gesù descrive la necessità di questa attenzione su noi stessi e sulla Chiesa – la necessità della vigilanza – attraverso un esempio efficace: «Quando lo spirito impuro esce dall’uomo – dice Gesù –, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. La nostra prima conversione riporta un certo ordine: il male che abbiamo riconosciuto e tentato di estirpare dalla nostra vita, effettivamente si allontana da noi; ma è da ingenui pensare che rimanga lontano per lungo tempo. È da ingenui pensare questo! In realtà, dopo un po’ si ripresenta a noi sotto una nuova veste. Se prima appariva rozzo e violento, ora invece si comporta in maniera più elegante ed educata. Allora abbiamo ancora una volta bisogno di riconoscerlo e smascherarlo. Permettetemi la parola: sono i “demoni educati”: entrano con educazione, senza che io me ne accorga. Solo la pratica quotidiana dell’esame di coscienza può far sì che ce ne rendiamo conto. Per questo si vede l’importanza dell’esame di coscienza, per vigilare la casa. (Papa Francesco - Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2022)

giovedì 9 ottobre 2025

GIOVEDÌ DELLA XXVII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 11,5-13

In quel tempo, Gesù disse ai discepoli:

«Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.

Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.

Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Dobbiamo ricordare spesso l’esortazione di Cristo: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. In particolare, dobbiamo ricordarla quando perdiamo la fiducia o la voglia di pregare. Dobbiamo anche sempre nuovamente imparare a pregare. Spesse volte avviene che ci dispensiamo dal pregare con la scusa di non saperlo fare. Se davvero non sappiamo pregare, tanto più allora è necessario impararlo. Ciò è importante per tutti, e sembra essere particolarmente importante per i giovani, i quali spesso tralasciano la preghiera che hanno imparato da bambini perché essa sembra loro troppo infantile, ingenua, poco profonda. Ad approfondire la propria preghiera, a renderla più riflessiva, più matura, a cercare l’appoggio per essa nella parola di Dio stesso e nello Spirito Santo, il quale “intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili” (Rm 8, 26). […] Esiste un enorme bisogno di preghiera, della preghiera grande e incessante della Chiesa; esiste il bisogno della preghiera fervente, umile e perseverante. Essa è il primo fronte in cui il bene e il male, nel nostro mondo, si affrontano. Essa fa strada al bene e serve a superare il male. La preghiera ottiene la grazia divina e la misericordia per il mondo. Essa eleva gli uomini alla dignità, che ha dato loro il Figlio di Dio, quando, uniti con lui, ripetono: “Padre, Padre nostro”. (San Giovanni Paolo II – Angelus, 27 luglio 1980)

mercoledì 8 ottobre 2025

MERCOLEDÌ DELLA XXVII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 11,1-4

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».

Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:

Padre,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno;

dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,

e perdona a noi i nostri peccati,

anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,

e non abbandonarci alla tentazione».

Il Vangelo […] ci presenta Gesù raccolto in preghiera, un po’ appartato dai suoi discepoli. Quando ebbe finito, uno di loro gli disse: “Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1). Gesù non fece obiezioni, non parlò di formule strane o esoteriche, ma con molta semplicità disse: “Quando pregate, dite: «Padre…»”, e insegnò il Padre Nostro (cfr Lc 11,2-4), traendolo dalla sua stessa preghiera, con cui si rivolgeva a Dio, suo Padre. […] Siamo di fronte alle prime parole della Sacra Scrittura che apprendiamo fin da bambini. Esse svelano che “noi non siamo già in modo compiuto figli di Dio, ma dobbiamo diventarlo ed esserlo sempre di più mediante una nostra sempre più profonda comunione con Gesù. Questa preghiera accoglie ed esprime anche le umane necessità materiali e spirituali: “Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati” (Lc 11,3-4). E proprio a causa dei bisogni e delle difficoltà di ogni giorno, Gesù esorta con forza: “Io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Non è un domandare per soddisfare le proprie voglie, quanto piuttosto per tenere desta l’amicizia con Dio, il quale – dice sempre il Vangelo – “darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!” (Lc 11,13). […] Ogniqualvolta recitiamo il Padre Nostro, la nostra voce s’intreccia con quella della Chiesa, perché chi prega non è mai solo. (Benedetto XVI – Angelus, 25 luglio 2010)

martedì 7 ottobre 2025

BEATA VERGINE MARIA DEL ROSARIO – MEMORIA

Lc 1,26-38

In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».

A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate

Il santo che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio (cfr. Lc 1, 35), fonte della sapienza, Verbo del Padre nei cieli altissimi.

Il Verbo, o Vergine santa, si farà carne per mezzo tuo, e colui che dice: «Io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 10, 38) dirà anche: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo» (Gv 16, 28).

Dunque «In principio era il Verbo», cioè già scaturiva la fonte, ma ancora unicamente in se stessa, perché al principio «il Verbo era presso Dio» (Gv 1, 1), abitava la sua luce inaccessibile. Poi il Signore cominciò a formulare un piano: Io nutro progetti di pace e non di sventura (cfr. Ger 29, 11). Ma il progetto di Dio rimaneva presso di lui e noi non eravamo in grado di conoscerlo. Infatti: chi conosce il pensiero del Signore e chi può essergli consigliere? (cfr. Rm 11, 24). E allora il pensiero di pace si calò nell'opera di pace: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14); venne ad abitare particolarmente nei nostri cuori per mezzo della fede. Divenne oggetto del nostro ricordo, del nostro pensiero e della nostra stessa immaginazione.

Se egli non fosse venuto in mezzo a noi, che idea si sarebbe potuto fare di Dio l'uomo, se non quella di un idolo, frutto di fantasia?

Sarebbe rimasto incomprensibile e inaccessibile, invisibile e del tutto inimmaginabile. Invece ha voluto essere compreso, ha voluto essere veduto, ha voluto essere immaginato. Dirai: Dove e quando si rende a noi visibile? Appunto nel presepio, in grembo alla Vergine, mentre predica sulla montagna, mentre passa la notte in preghiera, mentre pende sulla croce e illividisce nella morte, oppure mentre, libero tra i morti, comanda sull'inferno, o anche quando risorge il terzo giorno e mostra agli apostoli le trafitture dei chiodi, quali segni di vittoria, e, finalmente, mentre sale al cielo sotto i loro sguardi.

Non è forse cosa giusta, pia e santa meditare tutti questi misteri? Quando la mia mente li pensa, vi trova Dio, vi sente colui che in tutto e per tutto è il mio Dio. È dunque vera sapienza fermarsi su di essi in contemplazione. È da spiriti illuminati riandarvi per colmare il proprio cuore del dolce ricordo del Cristo.

lunedì 6 ottobre 2025

LUNEDÌ DELLA XXVII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 10,25-37

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

La compassione si esprime attraverso gesti concreti. L’evangelista Luca indugia sulle azioni del samaritano, che noi chiamiamo “buono”, ma che nel testo è semplicemente una persona: un samaritano si fa vicino, perché se vuoi aiutare qualcuno non puoi pensare di tenerti a distanza, ti devi coinvolgere, sporcare, forse contaminare; gli fascia le ferite dopo averle pulite con olio e vino; lo carica sulla sua cavalcatura, cioè se ne fa carico, perché si aiuta veramente se si è disposti a sentire il peso del dolore dell’altro; lo porta in un albergo dove spende dei soldi, “due denari”, più o meno due giornate di lavoro; e si impegna a tornare ed eventualmente a pagare ancora, perché l’altro non è un pacco da consegnare, ma qualcuno di cui prendersi cura. Cari fratelli e sorelle, quando avremo capito che quell’uomo ferito lungo la strada rappresenta ognuno di noi, allora la memoria di tutte le volte in cui Gesù si è fermato per prendersi cura di noi ci renderà più capaci di compassione. (Leone XIV – Udienza generale, 28 maggio 2025)

domenica 5 ottobre 2025

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Lc 17,5-10

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».

Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?

Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Gesù ci fa prendere coscienza che […] siamo servi di Dio; non siamo creditori nei suoi confronti, ma siamo sempre debitori, perché dobbiamo a Lui tutto, perché tutto è suo dono. Accettare e fare la sua volontà è l’atteggiamento da avere ogni giorno, in ogni momento della nostra vita. Davanti a Dio non dobbiamo mai presentarci come chi crede di aver reso un servizio e di meritare una grande ricompensa. Questa è un’illusione che può nascere in tutti, anche nelle persone che lavorano molto al servizio del Signore, nella Chiesa. Dobbiamo, invece, essere consapevoli che, in realtà, non facciamo mai abbastanza per Dio. Dobbiamo dire, come ci suggerisce Gesù: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10). Questo è un atteggiamento di umiltà che ci mette veramente al nostro posto e permette al Signore di essere molto generoso con noi. Infatti, in un altro brano del Vangelo egli ci promette che «si cingerà le sue vesti, ci farà mettere a tavola e passerà a servirci» (cfr Lc 12,37). Cari amici, se faremo ogni giorno la volontà di Dio, con umiltà, senza pretendere nulla da Lui, sarà Gesù stesso a servirci, ad aiutarci, ad incoraggiarci, a donarci forza e serenità. (Benedetto XVI – Omelia nella Santa Messa al Foro Italico di Palermo in occasione della Visita pastorale, 3 ottobre 2010)

sabato 4 ottobre 2025

SAN FRANCESCO D'ASSISI, PATRONO D'ITALIA – FESTA

Mt 11,25-30

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Dalla «Lettera a tutti i fedeli» di san Francesco d’Assisi

Il Padre altissimo fece annunziare dal suo arcangelo Gabriele alla santa e gloriosa Vergine Maria che il Verbo del Padre, così degno, così santo e così glorioso, sarebbe disceso dal cielo, e dal suo seno avrebbe ricevuto la vera carne della nostra umanità e fragilità. Egli, essendo oltremodo ricco, volle tuttavia scegliere, per sé e per la sua santissima Madre, la povertà.

All’approssimarsi della sua passione, celebrò la Pasqua con i suoi discepoli. Poi pregò il Padre dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice» (Mt 26, 39).

Pose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre. E la volontà del Padre fu che il suo Figlio benedetto e glorioso, dato a noi e nato per noi, offrisse se stesso nel proprio sangue come sacrificio e vittima sull’altare della croce. Non si offrì per se stesso, non ne aveva infatti bisogno lui, che aveva creato tutte le cose. Si offrì invece per i nostri peccati, lasciandoci l’esempio perché seguissimo le sue orme (cfr. 1 Pt 2, 21). E il Padre vuole che tutti ci salviamo per mezzo di lui e lo riceviamo con puro cuore e casto corpo.

O come sono beati e benedetti coloro che amano il Signore e ubbidiscono al suo Vangelo! È detto infatti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore e con tutta la tua anima, e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27). Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e pura mente, perché egli stesso questo ricerca sopra ogni cosa quando dice «I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4, 23). Dunque tutti quelli che l’adorano devono adorarlo in spirito e verità. Rivolgiamo a lui giorno e notte lodi e preghiere, perché dobbiamo sempre pregare e non stancarci mai (cfr. Lc 18, 1), e diciamogli: «Padre nostro, che sei nei cieli» (Mt 6, 9).

Facciamo inoltre «frutti degni di conversione» (Mt 3, 8) e amiamo il prossimo come noi stessi. Siamo caritatevoli, siamo umili, facciamo elemosine perché esse lavano le nostre anime dalle sozzure del peccato.

Gli uomini perdono tutto quello che lasciano in questo mondo. Portano con sé solo la mercede della carità e delle elemosine che hanno fatto. È il Signore che dà loro il premio e la ricompensa.

Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto semplici, umili e casti. Non dobbiamo mai desiderare di essere al di sopra degli altri, ma piuttosto servi e sottomessi a ogni umana creatura per amore del Signore. E su tutti coloro che avranno fatte tali cose e perseverato fino alla fine, riposerà lo Spirito del Signore. Egli porrà in essi la sua dimora ed abitazione. Saranno figli del Padre celeste perché ne compiono le opere. Saranno considerati come fossero per il Signore o sposa o fratello o madre.

venerdì 3 ottobre 2025

VENERDÌ DELLA XXVI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 10,13-16

In quel tempo, Gesù disse:

«Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.

E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!

Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato».

Gesù parla a me, parla a te, parla a ognuno di noi. La predica di Gesù è per ognuno di noi. Come mai quei pagani che, appena sentono la predica di Gesù, vanno con lui, e io che sono nato, sono nata, qui, in una società cristiana, mi abituo, e il cristianesimo è come fosse un’abitudine sociale, una veste che indosso e poi la lascio? E Gesù piange, su ognuno di noi quando noi viviamo il cristianesimo formalmente, non realmente. […] C’è l’ipocrisia dei peccatori, ma l’ipocrisia dei giusti è la paura dell’amore di Gesù, la paura di lasciarsi amare. E in realtà, quando noi facciamo questo, cerchiamo di gestire noi il rapporto con Gesù. “Sì, io vado alla Messa ma tu fermati nella chiesa che io poi vado a casa”. […] Oggi può essere per noi una giornata di esame di coscienza, con questo ritornello: “Guai a te, guai a te”, perché ti ho dato tanto, ho dato me stesso, ti ho scelto per essere cristiano, essere cristiana, e tu preferisci una vita a metà e metà, una vita superficiale: un po’ sì di cristianesimo e acqua benedetta ma niente di più. In realtà, quando si vive questa ipocrisia cristiana, quello che noi facciamo è cacciare via Gesù dal nostro cuore. Facciamo finta di averlo, ma lo abbiamo cacciato via. “Siamo cristiani, fieri di essere cristiani”, ma viviamo come pagani. (Papa Francesco - Omelia Santa Marta, 5 ottobre 2018)

giovedì 2 ottobre 2025

SANTI ANGELI CUSTODI – MEMORIA

Mt 18,1-5.10

In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?».

Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.

Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.

Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate

«Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi» (Sal 90, 11). Ringrazino il Signore per la sua misericordia e per i suoi prodigi verso i figli degli uomini. Ringrazino e dicano tra le genti: grandi cose ha fatto il Signore per loro. O Signore, che cos’è l’uomo, per curarti di lui o perché ti dai pensiero per lui? Ti dai pensiero di lui, di lui sei sollecito, di lui hai cura. Infine gli mandi il tuo Unigenito, fai scendere in lui il tuo Spirito, gli prometti anche la visione del tuo volto. E per dimostrare che il cielo non trascura nulla che ci possa giovare, ci metti a fianco quegli spiriti celesti, perché ci proteggano, e ci istruiscano e ci guidino.

«Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi». Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Riverenza per la presenza, devozione per la benevolenza, fiducia per la custodia. Sono presenti, dunque, e sono presenti a te, non solo con te, ma anche per te. Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti.

Anche se gli angeli sono semplici esecutori di comandi divini, si deve essere grati anche a loro perché ubbidiscono a Dio per il nostro bene.

Siamo dunque devoti, siamo grati a protettori così grandi, riamiamoli, onoriamoli quanto possiamo e quanto dobbiamo.

Tutto l’amore e tutto l’onore vada a Dio, dal quale deriva interamente quanto è degli angeli e quanto è nostro. Da lui viene la capacità di amare e di onorare, da lui ciò che ci rende degni di amore e di onore.

Amiamo affettuosamente gli angeli di Dio, come quelli che saranno un giorno i nostri coeredi, mentre nel frattempo sono nostre guide e tutori, costituiti e preposti a noi dal Padre. Ora, infatti, siamo figli di Dio. Lo siamo, anche se questo attualmente non lo comprendiamo chiaramente, perché siamo ancora bambini sotto amministratori e tutori e, conseguentemente, non differiamo per nulla dai servi. Del resto, anche se siamo ancora bambini e ci resta un cammino tanto lungo e anche tanto pericoloso, che cosa dobbiamo temere sotto protettori così grandi?

Non possono essere sconfitti né sedotti e tanto meno sedurre, essi che ci custodiscono in tutte le nostre vie. Sono fedeli, sono prudenti, sono potenti. Perché trepidare? Soltanto seguiamoli, stiamo loro vicini e restiamo nella protezione del Dio del cielo.

mercoledì 1 ottobre 2025

SANTA TERESA DI GESÙ BAMBINO, VERGINE E DOTTORE DELLA CHIESA – MEMORIA

Lc 9,57-62

In quel tempo, mentre camminavano per la strada, un tale disse a Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».

A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».

Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

Dall'«Autobiografia» di santa Teresa di Gesù Bambino, vergine

Siccome le mie immense ispirazioni erano per me un martirio, mi rivolsi alle lettere di san Paolo, per trovarvi finalmente una risposta. Gli occhi mi caddero per caso sui capitoli 12 e 13 della prima lettera ai Corinzi, e lessi nel primo che tutti non possono essere al tempo stesso apostoli, profeti e dottori e che la Chiesa si compone di varie membra e che l'occhio non può essere contemporaneamente la mano. Una risposta certo chiara, ma non tale da appagare i miei desideri e darmi la pace.

Continuai nella lettura e non mi perdetti d'animo. Trovai così una frase che mi diede sollievo: «Aspirate ai carismi più grandi. E io vi mostrerò una via migliore di tutte» (1 Cor 12, 31). L'Apostolo infatti dichiara che anche i carismi migliori sono un nulla senza la carità, e che questa medesima carità è la via più perfetta che conduce con sicurezza a Dio. Avevo trovato finalmente la pace.

Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ritrovavo in nessuna delle membra che san Paolo aveva descritto, o meglio, volevo vedermi in tutte. La carità mi offrì il cardine della mia vocazione. Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di vaire membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall'amore. Capii che solo l'amore spinge all'azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più anunziato il Vangelo, martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Comresi e conobbi che l'amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l'amore è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l'amore è eterno.

Allora con somma gioia ed estasi dell'animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l'amore. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio.

Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l'amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà.

lunedì 29 settembre 2025

SANTI MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE, ARCANGELI – FESTA

Gv 1,47-51

In quel tempo, Gesù, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».

Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa

È da sapere che il termine «angelo» denota l’ufficio, non la natura. Infatti quei santi spiriti della patria celeste sono sempre spiriti, ma non si possono chiamare sempre angeli, poiché solo allora sono angeli, quando per mezzo loro viene dato un annunzio. Quelli che recano annunzi ordinari sono detti angeli, quelli invece che annunziano i più grandi eventi son chiamati arcangeli.

Per questo alla Vergine Maria non viene inviato un angelo qualsiasi, ma l’arcangelo Gabriele. Era ben giusto, infatti, che per questa missione fosse inviato un angelo tra i maggiori, per recare il più grande degli annunzi.

A essi vengono attribuiti nomi particolari, perché anche dal modo di chiamarli appaia quale tipo di ministero è loro affidato. Nella santa città del cielo, resa perfetta dalla piena conoscenza che scaturisce dalla visione di Dio onnipotente, gli angeli non hanno nomi particolari, che contraddistinguano le loro persone. Ma quando vengono a noi per qualche missione, prendono anche il nome dall’ufficio che esercitano.

Così Michele significa: Chi è come Dio?, Gabriele: Fortezza di Dio, e Raffaele: Medicina di Dio.

Quando deve compiersi qualcosa che richiede grande coraggio e forza, si dice che è mandato Michele, perché si possa comprendere, dall’azione e dal nome, che nessuno può agire come Dio. L’antico avversario che bramò, nella sua superbia, di essere simile a Dio, dicendo: Salirò in cielo (cfr. Is 14, 13-14), sulle stelle di Dio innalzerò il trono, mi farò uguale all’Altissimo, alla fine del mondo sarà abbandonato a se stesso e condannato all’estremo supplizio. Orbene egli viene presentato in atto di combattere con l’arcangelo Michele, come è detto da Giovanni: «Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago» (Ap 12, 7).

A Maria è mandato Gabriele, che è chiamato Fortezza di Dio; egli veniva ad annunziare colui che si degnò di apparire nell’umiltà per debellare le potenze maligne dell’aria. Doveva dunque essere annunziato da «Fortezza di Dio» colui che veniva quale Signore degli eserciti e forte guerriero.

Raffaele, come abbiamo detto, significa Medicina di Dio. Egli infatti toccò gli occhi di Tobia, quasi in atto di medicarli, e dissipò le tenebre della sua cecità. Fu giusto dunque che venisse chiamato «Medicina di Dio» colui che venne inviato a operare guarigioni.

sabato 27 settembre 2025

XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:

«C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma".

Ma Abramo rispose: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi".

E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"».

https://m.youtube.com/watch?v=7iJc57Hbm_A

SAN VINCENZO DE' PAOLI, PRESBITERO – MEMORIA

Lc 9,43b-45

In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».

Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

La paura è una dimensione naturale della vita. Fin da piccoli si sperimentano forme di paura che si rivelano poi immaginarie e scompaiono; altre successivamente ne emergono, che hanno fondamenti precisi nella realtà: queste devono essere affrontate e superate con l’impegno umano e con la fiducia in Dio. Ma vi è poi, oggi soprattutto, una forma di paura più profonda, di tipo esistenziale, che sconfina a volte nell’angoscia: essa nasce da un senso di vuoto, legato a una certa cultura permeata da diffuso nichilismo teorico e pratico. Di fronte all’ampio e diversificato panorama delle paure umane, la Parola di Dio è chiara: chi "teme" Dio "non ha paura". Il timore di Dio, che le Scritture definiscono come "il principio della vera sapienza", coincide con la fede in Lui, con il sacro rispetto per la sua autorità sulla vita e sul mondo. Essere "senza timor di Dio" equivale a mettersi al suo posto, a sentirsi padroni del bene e del male, della vita e della morte. Invece chi teme Dio avverte in sé la sicurezza che ha il bambino in braccio a sua madre (cfr Sal 130,2): chi teme Dio è tranquillo anche in mezzo alle tempeste, perché Dio, come Gesù ci ha rivelato, è Padre pieno di misericordia e di bontà. Chi lo ama non ha paura (…). (Benedetto XVI - Angelus, 22 giugno 2008)

venerdì 26 settembre 2025

VENERDÌ DELLA XXV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 9,18-22

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».

Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».

Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

Nei Vangeli sinottici la confessione di Pietro è sempre seguita dall’annuncio da parte di Gesù della sua prossima passione. Un annuncio di fronte al quale Pietro reagisce, perché non riesce ancora a capire. Eppure si tratta di un elemento fondamentale, su cui perciò Gesù insiste con forza. Infatti, i titoli attribuiti a Lui da Pietro – tu sei "il Cristo", "il Figlio del Dio vivente" – si comprendono autenticamente solo alla luce del mistero della sua morte e risurrezione. Ed è vero anche l’inverso: l’avvenimento della Croce rivela il suo senso pieno soltanto se "quest’uomo", che ha patito ed è morto in croce, "era veramente Figlio di Dio", per usare le parole pronunciate dal centurione dinanzi al Crocifisso (cfr Mc 15,39). Questi testi dicono chiaramente che l’integrità della fede cristiana è data dalla confessione di Pietro, illuminata dall’insegnamento di Gesù sulla sua "via" verso la gloria, cioè sul suo modo assolutamente singolare di essere il Messia e il Figlio di Dio. Una "via" stretta, un "modo" scandaloso per i discepoli di ogni tempo, che inevitabilmente sono portati a pensare secondo gli uomini e non secondo Dio (cfr Mt 16,23). Anche oggi, come ai tempi di Gesù, non basta possedere la giusta confessione di fede: è necessario sempre di nuovo imparare dal Signore il modo proprio in cui egli è il Salvatore e la via sulla quale dobbiamo seguirlo. (Papa Benedetto XVI - Omelia nella Messa della Solennità dei Santi Pietro e Paolo, 29 giugno 2007)

giovedì 25 settembre 2025

GIOVEDÌ DELLA XXV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 9,7-9

In quel tempo, il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elìa», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti».

Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.

Conoscere Gesù: si deve conoscere Gesù nel catechismo, ma non è sufficiente conoscerlo con la mente, ma è necessario conoscerlo nel dialogo con Lui, parlando con Lui, nella preghiera, in ginocchio. Se tu non preghi, se tu non parli con Gesù, non lo conosci. Sai cose di Gesù, ma non hai quella conoscenza che ti da il cuore nella preghiera. Conoscere Gesù con la mente, con lo studio del catechismo, conoscere Gesù col cuore, nella preghiera, nel dialogo con Lui. Questo ci aiuta abbastanza, ma non è sufficiente, c’è una terza strada per conoscere Gesù: la sequela, andare con Lui, camminare con Lui. Non si può conoscere Gesù senza coinvolgersi con Lui, senza scommettere la vita per Lui. Quando tanta gente, anche noi, si fa questa domanda: “Ma chi è costui?”, la Parola di Dio ci risponde: “Tu vuoi conoscere chi sia costui? Leggi quello che la Chiesa ti dice di Lui, parla con Lui nella preghiera e cammina sulla Sua strada con Lui. E così tu conoscerai chi è quest’uomo. (Papa Francesco - Omelia Santa Marta, 26 settembre 2013)

martedì 23 settembre 2025

SAN PIO DA PIETRELCINA, PRESBITERO – MEMORIA

Lc 8,19-21

In quel tempo, andarono da Gesù la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla.

Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti».

Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».

Dalle lettere di san Pio da Pietrelcina, sacerdote

Con ripetuti colpi di salutare scalpello e con diligente ripulitura l’Artista divino vuole preparare le pietre con le quali costruire l’edificio eterno. Così canta la nostra tenerissima madre, la santa Chiesa Cattolica, nell’inno dell’ufficio della dedicazione della chiesa. E così è veramente.

Molto giustamente si può affermare che ogni anima destinata alla gloria eterna è costituita per innalzare l’edificio eterno. Un muratore che vuole edificare una casa innanzi tutto deve ben ripulire le pietre che vuole usare per la costruzione. Cosa che ottiene a colpi di martello e scalpello. Allo stesso modo si comporta il Padre celeste con le anime elette, che la somma sapienza e provvidenza fin dall’eternità ha destinate ad innalzare l’edificio eterno.

Dunque, l’anima destinata a regnare con Gesù Cristo nella gloria eterna deve essere ripulita a colpi di martello e di scalpello, di cui l’Artista divino si serve per preparare le pietre, cioè le anime elette. Ma quali sono questi colpi di martello e di scalpello? Sorella mia, sono le ombre, i timori, le tentazioni, le afflizioni di spirito e i tremori spirituali con qualche aroma di desolazione e anche il malessere fisico.

Ringraziate, quindi, l’infinita pietà dell’eterno Padre che tratta così la vostra anima perché destinata alla salvezza. Perché non gloriarsi di questo trattamento amoroso del più buono di tutti i padri? Aprite il cuore a questo celeste medico delle anime e abbandonatevi con piena fiducia tra le sue santissime braccia. Egli vi tratta come gli eletti, affinché seguiate Gesù da vicino sull’erta del Calvario. Io vedo con gioia e con vivissima commozione dell’animo come la grazia ha operato in voi.

Siate certi che tutto quello che ha sperimentato la vostra anima è stato disposto dal Signore. Non abbiate perciò timore di incorrere nel male e nell’offesa di Dio. Vi basti sapere che in tutto questo mai avete offeso il Signore, anzi che lui ne è rimasto ancor più glorificato.

Se questo tenerissimo Sposo si nasconde alla vostra anima non è perché, come pensate, voglia vendicarsi della vostra infedeltà, ma perché mette sempre più alla prova la vostra fedeltà e costanza e inoltre vi purifica da alcuni difetti, che non appaiono tali agli occhi carnali, cioè quei difetti e quelle colpe, dai quali neppure il giusto è esente. Nelle sacre pagine è infatti scritto: «Il giusto cade sette volte» (Pr 24, 16).

E credetemi che se non vi sapessi così afflitti, sarei meno contento, perché vedrei che il Signore vi dona meno gemme preziose… Scacciate come tentazioni i dubbi contrari… Scacciate anche i dubbi che riguardano il modo di essere della vostra vita, cioè che non ascoltate le ispirazioni divine e che resistete ai dolci inviti dello Sposo. Tutto questo non proviene da spirito buono, ma da spirito cattivo. Si tratta di arti diaboliche, che cercano di allontanarvi dalla perfezione o almeno di ritardare il vostro cammino verso di essa. Non vi perdete di coraggio!

Se Gesù si manifesta, ringraziatelo; se si nasconde, ringraziatelo ancora: sono scherzi di amore. Mi auguro che arriviate a spirare con Gesù sulla croce ed esclamare con Gesù: «Consummatum est» (Gv 19, 30).

lunedì 22 settembre 2025

LUNEDÌ DELLA XXV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 8,16-18

In quel tempo, Gesù disse alla folla:

«Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce.

Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce.

Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere».

Non nascondere il bene per domani: “Vai, ripassa, questo te lo darò domani” copre fortemente la luce. Anche una ingiustizia. Un altro modo – sono consigli questi per non coprire la luce – non tramare il male contro il tuo prossimo mentre egli dimora fiducioso presso di te. Quante volte la gente ha fiducia in una persona o in un’altra e questa trama il male per distruggerla, per sporcarla, per diminuirla. (…) E questo copre la luce, ti rende oscuro. (…) Invidiare il potere, avere gelosie, tutto questo copre la luce. Che lo Spirito santo che tutti noi abbiamo ricevuto nel Battesimo ci aiuti a non cadere in queste abitudini brutte che coprono la luce, e ci aiuti a portare avanti la luce ricevuta gratuitamente, quella luce di Dio che fa tanto bene, la luce dell’amicizia, la luce della mitezza, la luce della fede, la luce della speranza, la luce della pazienza, la luce della bontà. Che il Signore ci dia questa grazia. (Papa Francesco - Omelia Santa Marta, 19 settembre 2016)

domenica 21 settembre 2025

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Lc 16,1-13

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:

«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.

L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.

Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.

Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.

Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.

Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Parola del Signore.

La logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra poveri e ricchi, come pure un rovinoso sfruttamento del pianeta. Quando invece prevale la logica della condivisione e della solidarietà, è possibile correggere la rotta e orientarla verso uno sviluppo equo, per il bene comune di tutti. In fondo si tratta della decisione tra l’egoismo e l’amore, tra la giustizia e la disonestà, in definitiva tra Dio e Satana. (…) Oggi, come ieri, la vita del cristiano esige il coraggio di andare contro corrente, di amare come Gesù, che è giunto sino al sacrificio di sé sulla croce. Potremmo allora dire, parafrasando una considerazione di Sant’Agostino, che per mezzo delle ricchezze terrene dobbiamo procurarci quelle vere ed eterne: se infatti si trova gente pronta ad ogni tipo di disonestà pur di assicurarsi un benessere materiale sempre aleatorio, quanto più noi cristiani dovremmo preoccuparci di provvedere alla nostra eterna felicità con i beni di questa terra”. (Benedetto XVI – Messa sul sagrato della Cattedrale di Velletri in occasione della Visita Pastorale alla diocesi suburbicaria di Velletri-Segni, 23 settembre 2007)

venerdì 19 settembre 2025

VENERDÌ DELLA XXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 8,1-3

In quel tempo, Gesù se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio.

C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

In buona sostanza, la storia del cristianesimo avrebbe avuto uno sviluppo ben diverso se non ci fosse stato il generoso apporto di molte donne. Per questo, ha scritto il mio venerato e caro Predecessore Giovanni Paolo Il una nella Lettera apostolica, Mulieris dignitatem, dalla quale vorrei citare un passo dove dice: «la Chiesa rende grazie per tutte le donne e per ciascuna... La Chiesa ringrazia per tutte le manifestazioni del “genio” femminile apparse nel corso della storia, in mezzo a tutti i popoli e nazioni; ringrazia per tutti i carismi che lo Spirito Santo elargisce alle donne nella storia del Popolo di Dio, per tutte le vittorie che essa deve alla loro fede, speranza e carità: ringrazia per tutti i frutti della santità femminile». Come si vede, l’elogio riguarda le donne nel corso della storia della Chiesa ed è espresso a nome dell’intera comunità ecclesiale. Anche noi quindi ci uniamo a questo apprezzamento ringraziando il Signore, perché egli conduce la sua Chiesa, generazione dopo generazione, avvalendosi indistintamente di uomini e di donne, che sanno mettere a frutto la loro fede e il loro battesimo per il bene dell’intero Corpo ecclesiale, a maggior gloria di Dio. (Benedetto XVI - Udienza generale, 14 febbraio 2007)

giovedì 18 settembre 2025

GIOVEDÌ DELLA XXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 7,36-50

In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo.

Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».

Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».

E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco».

Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».

A Simone Gesù dice, riferendosi alla donna peccatrice: “Le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato!”; ed alla donna: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!”. Gesù afferma con autorità divina il perdono dei peccati. Esige allo stesso tempo il pentimento e il cambiamento di vita. Carissimi Manteniamo sempre vivo in noi il senso della fiducia nella bontà e nella misericordia di Dio. Non c’è peccato che Dio non voglia perdonare, quando si e pentiti e risoluti a non più peccare. Il pentimento della Maddalena e la parabola narrata da Gesù a Simone sono al riguardo molto ricchi di significato. Decisa, certo, deve essere la condanna del male, ma occorre comprensione e pazienza verso colui che pecca. La liturgia ci invita così ad essere messaggeri di verità e di misericordia, di perdono e di gioia. (San Giovanni Paolo II - Messa nella Grotta Lourdes dei Giardini Vaticani , 18 giugno 1995)

mercoledì 17 settembre 2025

MERCOLEDÌ DELLA XXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 7,31-35

In quel tempo, il Signore disse:

«A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così:

“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,

abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”.

È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”.

Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli».

È proprio la classe dirigente quella che chiude le porte al modo col quale Dio vuole salvarci. E così si capiscono i dialoghi forti di Gesù con la classe dirigente del suo tempo: litigano, lo mettono alla prova, gli tendono trappole per vedere se cade, perché è la resistenza a essere salvati. Gesù dice loro: ‘Ma, io non vi capisco! Voi siete come quei bambini: vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. Ma cosa volete?’; ‘Vogliamo fare la salvezza a modo nostro!’. È sempre questa chiusura al modo di Dio. (…) Anche noi, ognuno di noi ha questo dramma dentro. Ma ci farà bene domandarci: come voglio io essere salvato? A modo mio? Al modo di una spiritualità, che è buona, che mi fa bene, ma che è fissa, ha tutto chiaro e non c’è rischio? O al modo divino, cioè sulla strada di Gesù che sempre ci sorprende, che sempre ci apre le porte a quel mistero dell’Onnipotenza di Dio, che è la misericordia e il perdono?”. (Papa Francesco –Omelia Santa Marta, 3 ottobre 2014)

martedì 16 settembre 2025

SANTI CORNELIO, PAPA, E CIPRIANO, VESCOVO, MARTIRI - MEMORIA

Lc 7,11-17

In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.

Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.

Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.

Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

La compassione è un sentimento che coinvolge, è un sentimento del cuore, delle viscere, coinvolge tutto. Non è lo stesso della “pena”, o di … “peccato, povera gente!”: no, non è lo stesso. La compassione coinvolge. È patire con”. Questo è la compassione. Il Signore si coinvolge con una vedova e con un orfano … Ma dì, tu hai tutta una folla qui, perché non parli alla folla? Lascia … la vita è così … sono tragedie che succedono, accadono … No. Per Lui era più importante quella vedova e quell’orfano morto, che la folla alla quale Lui stava parlando e che lo seguiva. Perché? Perché il suo cuore, le sue viscere si sono coinvolti. Ebbe compassione. Avvicinarsi e toccare la realtà. Toccare. Non guardarla da lontano. Ebbe compassione - prima parola - si avvicinò - seconda parola. Poi fa il miracolo e Gesù non dice: ‘Arrivederci, io continuo il cammino’: no! Prende il ragazzo e cosa dice? ‘Lo restituì a sua madre’: restituire, la terza parola. Gesù fa dei miracoli per restituire, per mettere al proprio posto le persone. Ed è quello che ha fatto con la redenzione. Dio ebbe compassione - si avvicinò a noi in suo Figlio, e restituì tutti noi alla dignità di figli di Dio. Ci ha ricreati tutti. (Papa Francesco – Omelia Santa Marta, 19 settembre 2017)

lunedì 15 settembre 2025

BEATA VERGINE MARIA ADDOLORATA – MEMORIA

Gv 19,25-27

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.

Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate

Il martirio della Vergine viene celebrato tanto nella profezia di Simeone, quanto nella storia stessa della passione del Signore. Egli è posto, dice del bambino Gesù il santo vegliardo, quale segno di contraddizione, e una spada, dice poi rivolgendosi a Maria, trapasserà la tua stessa anima (cfr. Lc 2, 34-35).

Una spada ha trapassato veramente la tua anima, o santa Madre nostra! Del resto non avrebbe raggiunto la carne del Figlio se non passando per l'anima della Madre. Certamente dopo che il tuo Gesù, che era di tutti, ma specialmente tuo, era spirato, la lancia crudele non potè arrivare alla sua anima. Quando, infatti, non rispettando neppure la sua morte, gli aprì il costato, ormai non poteva più recare alcun danno al Figlio tuo. Ma a te sì. A te trapassò l'anima. L'anima di lui non era più là, ma la tua non se ne poteva assolutamente staccare. Perciò la forza del dolore trapassò la tua anima, e così non senza ragione ti possiamo chiamare più che martire, perché in te la partecipazione alla passione del Figlio, superò di molto, nell'intensità, le sofferenze fisiche del martirio.

Non fu forse per te più che una spada quella parola che davvero trapassò l'anima ed arrivò fino a dividere anima e spirito? Ti fu detto infatti: «Donna, ecco il tuo figlio» (Gv 19, 26). Quale scambio! Ti viene dato Giovanni al posto di Gesù, il servo al posto del Signore, il discepolo al posto del maestro, il figlio di Zebedeo al posto del figlio di Dio, un semplice uomo al posto del Dio vero. Come l'ascolto di queste parole non avrebbe trapassato la tua anima tanto sensibile, quando il solo ricordo riesce a spezzare anche i nostri cuori, che pure sono di pietra e di ferro?

Non meravigliatevi, o fratelli, quando si dice che Maria è stata martire nello spirito. Si meravigli piuttosto colui che non ricorda d'aver sentito Paolo includere tra le più grandi colpe dei pagani che essi furono privi di affetto. Questa colpa è stata ben lontana dal cuore di Maria, e sia ben lontana anche da quello dei sui umili devoti.

Qualcuno potrebbe forse obiettare: Ma non sapeva essa in antecedenza che Gesù sarebbe morto? Certo. Non era forse certa che sarebbe ben presto risorto? Senza dubbio e con la più ferma fiducia. E nonostante ciò soffrì quando fu crocifisso? Sicuramente e in modo veramente terribile. Del resto chi sei mai tu, fratello, e quale strano genere di sapienza è il tuo, se ti meravigli della solidarietà nel dolore della Madre col Figlio, più che del dolore del Figlio stesso di Maria? Egli ha potuto morire anche nel corpo, e questa non ha potuto morire con lui nel suo cuore? Nel Figlio operò l'amore superiore a ogni altro amore. Nella Madre operò l'amore, al quale dopo quello di Cristo nessun altro amore si può paragonare.

domenica 14 settembre 2025

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

Gv 3,13-17

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:

«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo

Noi celebriamo la festa della santa croce, per mezzo della quale sono state cacciate le tenebre ed è ritornata la luce. Celebriamo la festa della santa croce, e così, insieme al Crocifisso, veniamo innalzati e sublimati anche noi. Infatti ci distacchiamo dalla terra del peccato e saliamo verso le altezze. È tale e tanta la ricchezza della croce che chi la possiede ha un vero tesoro. E la chiamo giustamente così, perché di nome e di fatto è il più prezioso di tutti i beni. È in essa che risiede tutta la nostra salvezza. Essa è il mezzo e la via per il ritorno allo stato originale.

Se infatti non ci fosse la croce, non ci sarebbe nemmeno Cristo crocifisso. Se non ci fosse la croce, la Vita non sarebbe stata affissa al legno. Se poi la Vita non fosse stata inchiodata al legno, dal suo fianco non sarebbero sgorgate quelle sorgenti di immortalità, sangue e acqua, che purificano il mondo. La sentenza di condanna scritta per il nostro peccato non sarebbe stata lacerata, noi non avremmo avuto la libertà, non potremmo godere dell'albero della vita, il paradiso non sarebbe stato aperto per noi. Se non ci fosse la croce, la morte non sarebbe stata vinta, l'inferno non sarebbe stato spogliato.

È dunque la croce una risorsa veramente stupenda e impareggiabile, perché, per suo mezzo, abbiamo conseguito molti beni, tanto più numerosi quanto più grande ne è il merito, dovuto però in massima parte ai miracoli e alla passione del Cristo. È preziosa poi la croce perché è insieme patibolo e trofeo di Dio. Patibolo per la sua volontaria morte su di essa. Trofeo perché con essa fu vinto il diavolo e col diavolo fu sconfitta la morte. Inoltre la potenza dell'inferno venne fiaccata, e così la croce è diventata la salvezza comune di tutto l'universo.

La croce è gloria di Cristo, esaltazione di Cristo. La croce è il calice prezioso e inestimabile che raccoglie tutte le sofferenze di Cristo, è la sintesi completa della sua passione. Per convincerti che la croce è la gloria di Cristo, senti quello che egli dice: «Ora il figlio dell'uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui, e lo glorificherà subito» (Gv 13, 31-32).

E di nuovo: «Glorificami, Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17, 5). E ancora: «Padre glorifica il tuo nome. Venne dunque una voce dal cielo: L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò» (Gv 12, 28), per indicare quella glorificazione che fu conseguita allora sulla croce. Che poi la croce sia anche esaltazione di Cristo, ascolta ciò che egli stesso dice: Quando sarò esaltato, allora attirerò tutti a me (cfr. Gv 12, 32). Vedi dunque che la croce è gloria ed esaltazione di Cristo.