mercoledì 25 giugno 2025

MERCOLEDÌ DELLA XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 7,15-20

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete.

Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.

Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete».

Per noi cristiani il magistero intimo dello Spirito Santo è una gioiosa certezza, fondata sulla parola di Cristo circa la venuta dell’“altro Paraclito”, che - diceva - “il Padre manderà nel mio nome. Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” (Gv 14, 26). “Egli vi guiderà verso tutta la verità” (Gv 16, 13).(…) Dunque i cristiani, avendo ricevuto lo Spirito Santo, unzione di Cristo, possiedono in se stessi una fonte di conoscenza della verità, e lo Spirito Santo è il Maestro sovrano che li illumina e guida.(…) Lo Spirito Santo insegna al cristiano la verità come principio di vita. Mostra l’applicazione concreta delle parole di Gesù nella vita di ognuno. Fa scoprire l’attualità del Vangelo e il suo valore per tutte le situazioni umane. Adatta l’intelligenza della verità ad ogni circostanza, affinché questa verità non rimanga soltanto astratta e speculativa, e liberi il cristiano dai pericoli della doppiezza e dell’ipocrisia. (San Giovanni Paolo II – Udienza generale, mercoledì 24 aprile 1991)

martedì 24 giugno 2025

NATIVITA' DI SAN GIOVANNI BATTISTA – MESSA DEL GIORNO – SOLENNITÀ

Lc 1,57-66.80

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.

Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».

Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All'istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio.

Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.

Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo

La Chiesa festeggia la natività di Giovanni, attribuendole un particolare carattere sacro. Di nessun santo, infatti, noi celebriamo solennemente il giorno natalizio; celebriamo invece quello di Giovanni e quello di Cristo. Giovanni però nasce da una donna avanzata in età e già sfiorita. Cristo nasce da una giovinetta vergine. Il padre non presta fede all’annunzio sulla nascita futura di Giovanni e diventa muto. La Vergine crede che Cristo nascerà da lei e lo concepisce nella fede.

Sembra che Giovanni sia posto come un confine fra due Testamenti, l’Antico e il Nuovo. Infatti che egli sia, in certo qual modo, un limite lo dichiara lo stesso Signore quando afferma: «La Legge e i Profeti fino a Giovanni» (Lc 16, 16). Rappresenta dunque in sé la parte dell’Antico e l’annunzio del Nuovo. Infatti, per quanto riguarda l’Antico, nasce da due vecchi. Per quanto riguarda il Nuovo, viene proclamato profeta già nel grembo della madre. Prima ancora di nascere, Giovanni esultò nel seno della madre all’arrivo di Maria. Già da allora aveva avuto la nomina, prima di venire alla luce. Viene indicato già di chi sarà precursore, prima ancora di essere da lui visto. Questi sono fatti divini che sorpassano i limiti della pochezza umana. Infine nasce, riceve il nome, si scioglie la lingua del padre. Basta riferire l’accaduto per spiegare l’immagine della realtà.

Zaccaria tace e perde la voce fino alla nascita di Giovanni, precursore del Signore, e solo allora riacquista la parola. Che cosa significa il silenzio di Zaccaria se non la profezia non ben definita, e prima della predicazione di Cristo ancora oscura? Si fa manifesta alla sua venuta. Diventa chiara quando sta per arrivare il preannunziato. Il dischiudersi della favella di Zaccaria alla nascita di Giovanni è lo stesso che lo scindersi del velo nella passione di Cristo. Se Giovanni avesse annunziato se stesso, non avrebbe aperto la bocca a Zaccaria. Si scioglie la lingua perché nasce la voce. Infatti a Giovanni, che preannunziava il Signore, fu chiesto: «Chi sei tu?» (Gv 1, 19). E rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1, 23). Voce è Giovanni, mentre del Signore si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è voce per un po’ di tempo; Cristo invece è il Verbo eterno fin dal principio.

lunedì 23 giugno 2025

Lunedì della XII settimana del tempo ordinario

Mt 7,1-5

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi.

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

Tante volte, lo sappiamo tutti, è più facile o comodo scorgere e condannare i difetti e i peccati altrui, senza riuscire a vedere i propri con altrettanta lucidità. Noi sempre nascondiamo i nostri difetti, li nascondiamo anche a noi stessi; invece, è facile vedere i difetti altrui. La tentazione è quella di essere indulgenti con se stessi – manica larga con se stessi – e duri nel condannare gli altri. È sempre utile aiutare il prossimo con saggi consigli, ma mentre osserviamo e correggiamo i difetti del nostro prossimo, dobbiamo essere consapevoli anche noi di avere dei difetti. Se io credo di non averne, non posso condannare o correggere gli altri. Tutti abbiamo difetti: tutti. E dobbiamo esserne consapevoli e, prima di condannare gli altri, dobbiamo guardare noi stessi dentro. E in questo modo possiamo agire in modo credibile, con umiltà, testimoniando la carità. (Papa Francesco - Angelus, 3 marzo 2019)

domenica 22 giugno 2025

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO - SOLENNITÀ - ANNO C

Lc 9,11b-17

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».

Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.

Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.

Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.

Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Dalle «Opere» di san Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa

L’Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi, da uomini, dèi.

Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull’altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati.

Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino.

O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più sublime di questo sacramento?

Nessun sacramento in realtà è più salutare di questo: per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l’Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti.

Nessuno infine può esprimere la soavità di questo sacramento. Per mezzo di esso si gusta la dolcezza spirituale nella sua stessa fonte e si fa memoria di quella altissima carità, che Cristo ha dimostrato nella sua passione.

Egli istituì l’Eucaristia nell’ultima cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre.

L’Eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle figure dell’Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini.

sabato 21 giugno 2025

SAN LUIGI GONZAGA, RELIGIOSO – MEMORIA

Mt 6,24-34

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:

«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?

Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre.

Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?

E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?

Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.

Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.

Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

“Mi vanterò, scrive l'Apostolo,... ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo;... quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,9-10). Così scrive di sé stesso un uomo, che ha sperimentato personalmente, e in modo particolare, la potenza della grazia di Dio. In mezzo alle difficoltà della vita, pregando, ha sentito la risposta del Signore: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12,9). La preghiera è la prima e fondamentale condizione della collaborazione con la grazia di Dio. Bisogna pregare per avere la grazia di Dio, bisogna pregare per poter cooperare con la grazia di Dio. Tale è il vero ritmo della vita interiore del cristiano. Il Signore parla a ciascuno di noi, così come ha parlato all’Apostolo: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. (San Giovanni Paolo II – Angelus, 4 luglio 1982)

venerdì 20 giugno 2025

VENERDÌ DELLA XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 6,19-23

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.

La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!».

... dov’è il tuo tesoro, quello che tu desideri? – perché Gesù ci ha detto: Dov’è il vostro tesoro, là sarà il vostro cuore – e io domando: dov’è il tuo tesoro? Qual’é per te la realtà più importante, più preziosa, la realtà che attrae il mio cuore come una calamita? Cosa attrae il tuo cuore? Posso dire che è l’amore di Dio? C’è la voglia di fare il bene agli altri, di vivere per il Signore e per i nostri fratelli? Posso dire questo? Ognuno risponde nel suo cuore. Ma qualcuno può dirmi: Padre, ma io sono uno che lavora, che ha famiglia, per me la realtà più importante è mandare avanti la mia famiglia, il lavoro… Certo, è vero, è importante. Ma qual è la forza che tiene unita la famiglia? È proprio l’amore, e chi semina l’amore nel nostro cuore è Dio, l’amore di Dio, è proprio l’amore di Dio che dà senso ai piccoli impegni quotidiani e anche aiuta ad affrontare le grandi prove. Questo è il vero tesoro dell’uomo. Andare avanti nella vita con amore, con quell’amore che il Signore ha seminato nel cuore, con l’amore di Dio. E questo è il vero tesoro. (Papa Francesco - Angelus, 11 agosto 2013)

giovedì 19 giugno 2025

GIOVEDÌ DELLA XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 6,7-15

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.

Voi dunque pregate così:

Padre nostro che sei nei cieli,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno,

sia fatta la tua volontà,

come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

e rimetti a noi i nostri debiti

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,

e non abbandonarci alla tentazione,

ma liberaci dal male.

Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

Dal trattato «Sul Padre nostro» di san Cipriano, vescovo e martire

Dicendo la preghiera del Signore, noi chiediamo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Ciò può essere inteso sia in senso spirituale che in senso materiale, poiché l’uno e l’altro significato, nell’economia divina, serve per la salvezza. Infatti il pane di vita è Cristo, e questo pane non è di tutti, ma certo nostro lo è. E come diciamo «Padre nostro», perché è Padre di coloro che intendono e credono, così invochiamo anche il «pane nostro», poiché Cristo è pane di coloro che come noi assumono il suo corpo.

Chiediamo quindi che ogni giorno ci sia dato questo pane. Noi viviamo in Cristo e riceviamo ogni giorno la sua Eucaristia come cibo di salvezza. Non accada che, a causa di peccati gravi, ci venga negato il pane celeste, e così, privati della comunione, veniamo anche separati dal corpo di Cristo. Egli stesso ha proclamato infatti: Io sono il pane di vita, che sono disceso dal cielo. Se uno mangerà del mio pane, vivrà in eterno. E il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo (cfr. Gv 6, 51).

Dice che se qualcuno mangerà del suo pane vivrà in eterno. È evidente dunque che vivono coloro che gustano il suo corpo e ricevono l’Eucaristia per diritto di comunione. Da ciò si deduce che se qualcuno si astiene dall’Eucaristia si separa dal corpo di Cristo, e rimane lontano dalla salvezza. È un fatto di cui preoccuparsi. Preghiamo il Signore che non avvenga. È lui stesso che pronunzia questa minaccia, dicendo: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi (cfr. Gv 6, 53). Per questo chiediamo che ci sia dato ogni giorno il nostro pane, cioè Cristo, perché noi che rimaniamo e viviamo in Cristo, non ci allontaniamo dalla sua vita divina.

Dopo queste cose preghiamo anche per i nostri peccati, dicendo: «E rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Dopo aver chiesto il sussidio del cibo, chiediamo pure perdono delle colpe.

Come è davvero necessario, e come è prudente e salutare essere avvertiti che siamo peccatori, ed essere spinti a pregare per i nostri peccati! In tal modo, mentre chiediamo il perdono a Dio, l’animo fa riemergere la consapevolezza di sé. E perché non avvenga che qualcuno si compiaccia come se fosse senza colpe e, salendo in alto, non abbia a cadere più rovinosamente, viene istruito e ammaestrato che egli pecca ogni giorno, e perciò gli si comanda di pregare ogni giorno per i peccati.

Così ammonisce anche Giovanni nella sua lettera, dicendo: Se diremo che non abbiamo alcun peccato, ci inganniamo da noi stessi, e non c’è in noi la verità. Se invece confesseremo i nostri peccati, il Signore è fedele e giusto, e ci rimette i peccati (cfr. 1 Gv 1, 8). Nella sua lettera ha unito assieme l’una e l’altra cosa: che noi dobbiamo pregare per i nostri peccati e che otteniamo indulgenza quando preghiamo. Con questo, ha anche chiamato fedele il Signore perché mantiene fede alla sua promessa di rimetterci i peccati. Colui infatti che ci ha insegnato a pregare per i debiti e le colpe, ha promesso la sua paterna misericordia e il suo perdono.